Alvenrad – Heer
2017 – full-length – Trollmusic
VOTO: 7,5 – recensore: Mr. Folk
Formazione: Mark Kwint: voce, chirarra – Thijs Kwint: basso – Ingmar Regeling: batteria – Jasper Strik: pianoforte, organo, mellotron, voce
Tracklist: 1. De Hoogzit – 2. De Raven Wodans – 3. Dagen Gaans Heen – 4. De Zonne-ever – 5. Boom Des Gouds - 6. De Herder – 7. Fallisch – 8. Minneschemering – 9. De Groene Tempel – 10. Omheind – 11. Foreest In Tweelicht (bonus track)
La difficoltà di un disco come Heer sta nel dover superare i muri mentali che siamo soliti erigere tra i generi musicali. In questi tre quarti d’ora, difatti, troviamo uno strano quanto originale ed efficace mix di folk/pagan metal, hard rock ’70 e progressive. I punti di riferimento della band olandese sono Vintersorg, Uriah Heep e Jethro Tull: questi nomi possono bastare per incuriosire l’ascoltare meno chiuso mentalmente e avvicinarsi al secondo lavoro degli Alvenrad, uscito a tre anni di distanza dal debutto Habitat.
La tracklist sbagliata della label non ha aiutato di sicuro (due intro e uno strumentale come primi tre pezzi), ma una volta corretto l’ordine delle canzoni Heer ha conquistato un ruolo di primo piano negli ascolti giornalieri, incuriosendo e non poco l’amante del folk metal che è cresciuto con l’hard rock degli anni settanta quando era poco più che un ragazzino. E proprio qui sta la forza del quartetto olandese: robuste chitarre dai classici riff del vero hard rock, hammond come se non ci fosse un domani e melodie folk metal si ritrovano in un unico brano e sono arricchite dalla voce calda di Mark Kwint. A tutto questo va aggiunto un reale groove sempre più difficile ascoltare di questi tempi. L’intero disco è stato registrato senza l’aiuto dei trucchetti digitali e anche la batteria, solitamente lo strumento più taroccato in studio, è sempre stata catturata su nastro al massimo alla seconda take. Le registrazioni sono avvenute negli studi della band, ma del missaggio e del mastering se n’è occupato presso lo Studio E Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak), noto per aver collaborato con Helrunar, Eluveitie e Alcest . A completare il tutto c’è la bella copertina di David Thiérrée, ricca di dettagli che si fonde perfettamente con il mood musicale di Heer e si collega con il concept narrato all’interno dei quaranta minuti del disco: attrazione sessuale, amore e violenza tra dei e giganti, il tutto raccontato con lo spirito moderno e ambientato nella terra madre dei quattro musicisti, la regione Veluwe nella provincia della Gheldria.
De Hoogzit è il delizioso intro strumentale che porta a De Raven Wodans (tr. I Corvi Di Odino), opener dalle forti influenze degli Amorphis di metà carriera. Un grande gusto melodico e sporadiche accelerazioni su un tappeto di organo sono un buon biglietto da visita per gli Alvenrad. La traccia seguente, Dagen Gaans Heen, è un omaggio ai favolosi anni ’70, dai quali prende tutti i pregi tipici di quegli anni. Sulle sonorità simili si muove De Zonne-ever, con l’aggiunta di piglio più aggressivo nelle chitarre e con un ritornello ossessivo. Boom Des Gouds è uno strumentale da due minuti e mezzo a metà strada tra il rock seventies (la tastiera) e il thrash metal newyorkese (i riff di chitarra) seguito da un intro dal significato oscuro. Fallisch è un pezzo carino ma sottotono rispetto agli altri, mentre le cose vanno decisamente meglio con Minneschemering, dal riffing deciso e la sezione ritmica a dettare legge. Il soave cinguettio degli uccelli e il delicato pianoforte di De Groene Tempel ci portano in una dimensione che gli Alvenrad, per quanto di rado, sono abilissimi di gestire e controllare. La semi-ballad in questione è coinvolgente fin dai primi secondi, ma è con il passare dei minuti che cresce d’intensità fino a colpire al cuore. Le iniziali note di violino e gli arpeggi clean di chitarra della conclusiva Omheind sono quelli tipici del brano bello e delicato, dal cuore forte ma sensibile nell’anima. L’unico dubbio che ci si pone è il perché di due canzoni simili attaccate nella tracklist. La bonus track Foreest In Tweelicht meriterebbe l’inclusione nella scaletta ufficiale per quanto è varia e ben fatta: alle ormai classiche sonorità sono presenti dei giri black metal (con tanto di scream infernale) che sorprendono e danno quel dinamismo che forse sarebbe stato perfetto se collocato a metà album.
Strana e diversa da tutto quello che gira attorno al mondo folk metal, Heer è un’opera che stupisce per suoni e coraggio, ma conquista grazie alla bontà delle canzoni. La parte del leone lo fa il rock e l’hammond in particolare, ma l’insieme di strumenti e influenze funziona bene nonostante qualche dubbio sollevato dalla tracklist che forse poteva essere concepita meglio. Questo degli Alvenrad rimane comunque un disco godibile e originale, consigliato soprattutto a chi ha una mente aperta e non disdegna a priori gli intrecci di generi.
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