Månegarm – Legions Of The North
2013 – full-length – Napalm Records
VOTO: 7,5 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Erik Grawsiö: voce, basso – Markus Andé: chitarra – Jonas Almkvist: chitarra – Jacob Hallegren: batteria
Tracklist: 1. Arise – 2. Legions Of The North – 3. Eternity Awaits – 4. Helvegr – 5. Hordes Of Hel – 6. Tor Hjälpe – 7. Wake The Gods (bonus track) – 8. Vigverk – 9. Sons Of War – 10. Echoes From The Past – 11. Fallen – 12. Forged In Fire – 13. Raadh
A quattro anni dal precedente – e ottimo – Nattväsen, tornano a farsi vivi gli svedesi Månegarm. Di cose ne sono avvenute tante, tra tour e, soprattutto, cambi di line-up che hanno fatto tremare i supporter della band di Norrtälje e, forse, anche i musicisti stessi. Lo storico bassista Pierre Wilhelmsson, presente dagli esordi del 1995, ha abbandonato il gruppo nel 2010, seguito due anni più tardi dall’amatissimo violinista Janne Liljeqvist, desideroso di passare più tempo a casa dopo esser diventato padre. Due abbandoni non di poco conto, ma che non ha influito negativamente sul lavoro dei restanti strumentisti, compreso in neo arrivato Jacob Hallegren – in realtà con la band in veste di session dal 2008, ma divenuto membro fisso recentemente – alla batteria, dato che Erik Grawsiö ha deciso di occuparsi anche in studio unicamente della voce e del basso.
Altre novità sono rappresentate dalla firma del contratto discografico con l’austriaca Napalm Records, label che non necessita di presentazioni, e del cantato per la prima volta in lingua inglese invece che in svedese: il risultato finale è discreto, ma il fascino dell’idioma svedese è ben altra cosa, con il risultato che la decisione sembra non essere stata gradita, stando a quanto si legge su internet, dai fan del gruppo.
Con questi cambiamenti, come suona il nuovo Legions Of The North? 100% Månegarm! Il settimo disco in studio dei quattro svedesi è una sorta di best of di quanto fatto fino a questo momento, spaziando da (sorprendenti) brani black metal sullo stile del debutto Nordstjärnans Tidsålder, alle classiche canzoni potenti, ma orecchiabili, presenti in Nattväsen. Di tutto un po’: folk, viking, black, soluzioni melodiche e riff tritacarne, linee vocali epiche e convincenti in contesti freddi e minacciosi, con la dettagliata copertina di Kris Verwimp a ben rappresentare il contenuto del platter.
Dopo la classica intro, arriva la brutalità della title track, canzone che ricorda per sonorità il cd di esordio, con una consapevolezza, una capacità di scrittura e un’esperienza ovviamente di ben altro spessore. Le melodie e i cori smussano un po’ la cattiveria, ottenendo un sound agrodolce di grande effetto. Con Eternity Awaits si continua a tenere l’acceleratore pigiato pur suonando più “leggera” rispetto all’opener. La voce di Erik Grawsiö alterna scream e growl e brevi parti in pulito con grande naturalezza, confermando la fama di ottimo singer. Dopo la brevissima strumentale Helvegr i Månagarm, con Hordes Of Hel, tornano alle sonorità massicce e al tempo stesso epiche di Vargstenen, anche se, fatto curioso, in più di un punto mi è tornata in mente Orgasmatron dei Motörhead nella versione dei Sepultura con i fratelli Cavalera. Tor Hjälpe è un classico brano nato dalla mente di Grawsiö, dove delicatezza e ritmiche da headbanging vanno di pari passo. La settima traccia è la bonus track Wake The Gods, brano spinto che in meno di quattro minuti tira fuori le qualità migliori della band svedese: grandi riff di chitarra, ottime linee vocali e una innata bravura di creare canzoni semplici e avvincenti. Si continua con un’altra breve strumentale che lascia presto spazio a Sons Of War, composizione che non passerà di certo alla storia per il testo del ritornello (We stand united – We are the sons of war – A new dawn rising – In the land of the northern star – We stand united – Victory’s at hand – We are the sons of war), ma che gode di un’orecchiabilità fuori dal comune in grado di rimanere impressa nella memoria fin dai primi ascolti. Echoes From The Past presenta inizialmente giri di chitarra molto asciutti e melodici come mai proposti in passato, ma ben presto la doppia cassa di Jacob Hallegren (lineare e tosto il suo lavoro al drumkit) e dei riff più grintosi fanno tornare i Månagarm al loro classico sound, che in alcuni momenti ricordano gli ultimi Amon Amarth. Nei quasi sette minuti di durata trovano spazio anche piacevoli chitarre pulite e la voce di Stina Engelbrecht, prima dell’inevitabile ritorno alla distorsione. Fallen è un brano di media velocità dal ritornello cantato in pulito circondato da granitici riff e accelerazioni di pregevole gusto. Ancora brutalità del black metal con la mefistofelica Forged In Fire: tempi serrati, riff spacca collo e la voce di Grawsiö a scavare nell’animo dell’ascoltatore. Il break centrale, tra chitarre piene di energia positiva e voci clean, rappresenta il momento più bello dell’intero Legions Of The North, prima del ritorno del caos e del fuoco, come da ritornello:
Forged in fire
Cleansed by the sword
Baptized in blood
Born a seed of war
Forged in fire
Possessed by the hate
Behold, this is my fate
Ultima canzone (e unica ad avere il testo in svedese) del cd è Raadh, acustica e delicata, cantata da Stina Engelbrecht e da Erik Grawsiö all’unisono, conclusione azzeccata per un full lenght di buona qualità.
I primi ascolti di Legions Of The North non sono semplici: c’è meno folk nei cinquantacinque minuti del disco, un paio di sfuriate che possono disorientare l’ascoltatore, e soprattutto si sente la mancanza del violino di Janne Liljeqvist. Il dolce e straziante strumento è presente in un paio di brani suonato da un amico della band, tale Martin Björklung, ma non riveste l’importanza del recente passato. Detto questo, con il proseguo degli ascolti le cose cambiano: le melodie rimangono in testa, qualche ritornello viene canticchiato e ci si inizia ad appassionare alle canzoni fino a rimanerne affascinati e travolti (senza raggiungere i picchi del passato, è bene dirlo) dai riff del duo Almkvist/Andé e dall’ottimo cantato del leader indiscusso del gruppo.
Legions Of The North (titolo già usato dai Fjorsvartnir per il loro debutto del 2012) è un buon album che rassicura i fan del gruppo sullo stato di salute degli svedesi, lasciando presagire un qualche cambiamento dal prossimo platter, cosa che regolarmente accade dopo un album raccolta come questo. Non feroce come Dödsfärd, non “ruffiano” quanto Vargstenen – loro probabile picco qualitativo -, ma assolutamente convincente e piacevole da ascoltare.

bel disco, peccato il cantato in inglese. questo è un bel sito!