Falkenbach – Asa
2013 – full-length – Prophecy Productions
VOTO: 9 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Vratyas Vakyas
Tracklist: 1. Vaer Stjernar Vaerdan – 2. Wulfarweijd – 3. Mijn Laezt Wourd – 4. Bronzen Embrace – 5. Eweroun – 6. I Nattens Stilta – 7. Bluot Fuër Bluot – 8. Stikke Wound – 9. Ufirstanan Folk
Il re del viking metal, l’unico vero erede del genio compositivo di Quorthon, torna nell’autunno 2013 a quasi tre anni di distanza da Tiurida, disco piacevole ma assolutamente inferiore ai precedenti masterpiece sfornati sotto il nomicker Falkenbach. Pubblicato dall’elegante Prophecy Production, Asa si presenta esteticamente accattivante: la bellissima copertina risulta essere evocativa e perfetta, quindi, alla musica contenuta nelle nove tracce del disco.
Asa è al contempo il lavoro più melodico e più estremo del musicista tedesco, cd contenente momenti di assoluta dolcezza che si contrappongono a brani di pura truce violenza black. Le due anime di Markus Tümmers (vero nome del musicista) si alternano e difficilmente si uniscono: il compositore preferisce, per questo lavoro, tenerle separate, facendole incontrare di rado ma, come in Bluot Fuër Bluot, con grande successo.
Vaer Stjernar Vaerdan apre in maniera convincente il disco. Si tratta di un mid tempo in clean vocals come Vratyas Vakyas ci ha abituato nel corso degli anni, un brano evocativo ed epico, musicalmente semplice e con un delicato assolo di chitarra che riprende le melodie vocali. L’esatto opposto di Wulfarweijd: ritmiche feroci, doppia cassa e scream per una canzone fortemente influenzata dal black, ma con l’inconfondibile marchio di Markus Tümmers, ovvero melodie vincenti anche in contesti estremi e una cura per gli arrangiamenti (il breve stacco di chitarra acustica e quelle apparentemente elementari tastiere di sottofondo ne sono l’esempio) che con gli anni lo hanno distinto dalla massa. Con Mijn Laezt Wourd si torna ad atmosfere più pacate e per certi versi simili all’opener di Asa, ma con un ritmo più incalzante. Si arriva quindi alla quarta traccia in scaletta, Brozen Enbrace, una canzone brutale con aperture melodiche strabilianti che anticipano il ritorno del caos. La prima parte del disco passa velocemente, tra brani diversi ma simili tra loro, tutti con il comun denominatore della qualità. Vratyas Vakyas ha dato fondo alla propria creatività, realizzando canzoni che sanno colpire fin dal primo ascolto, trapassando la carne, dirette al cuore. Si riprende l’ascolto con la meravigliosa e già nota Eweroun: uscita come 7” qualche mese fa, ha ipnotizzato e fatto innamorare di questo genere musicale (e di questa band) sia chi, come il sottoscritto, lo vive da tanti anni, sia l’ascoltatore casuale, il quale non può esserne rimasto indifferente. La voce pulita trasmette emozioni, la chitarra acustica sovrapposta agli accordi della sei corde in distorsione è un marchio di fabbrica dei Falkenbach, ma non stanca mai e, soprattutto, riesce ancora, nonostante i tanti anni di attività, a comunicare qualcosa, un qualcosa che gli altri non hanno e, forse, mai avranno. I Nattens Stilta, con i suoi oltre sei minuti di durata, è la composizione più lunga di Asa, una canzone black vecchia maniera, un po’ Immortal nello spirito (non nella musica), quasi un brano degno di far parte del debutto …En Their Medh Riki Fara…, marchiato 1996. Prevedibile, ma ugualmente gradito, il brano melodico dopo quello feroce. Si tratta di Bluot Fuër Bluot, dinamico e ritmato con tanto di chitarra acustica a supporto dell’elettrica, dall’inaspettato stacco centrale dove blast beat e scream infernali infestano l’aria rendendola – per poco tempo in verità – irrespirabile. Come se nulla fosse torna la voce pulita e le classiche, distintive, linee vocali di Markus, con il finale che non ti aspetti, fischiettato. L’ottava canzone Stikke Wound, breve nei suoi quasi tre minuti, parte con chitarre taglienti e la batteria (anche in questo album suonata da Boltthorn) indiavolata: si tratta di una scheggia impazzita, veloce e convincente, perfetta prima della conclusione affidata a Ufirstanan Folk, ennesima conferma della dolcezza che pervade Asa. Un disco marchiato Falkenbach non è mai stato così melodico (attenzione, non soft!), con il violino di Nikos Mavridis, da anni collaboratore dei Carach Angren, che dona un tocco di pura raffinatezza.
Il secondo cd, contenuto nella lussuosa confezione limitata a 2000 copie, è un quattro tracce dove sono presenti due inediti (Beloved Feral Winter ed En Lintinbluitin Faran…), la ri-registrazione di Ultima Thule tratta da …En Their Medh Riki Fara…, per l’occasione intitolata Return To Ultima Thule e la strumentale I Svertar Sunna Luihtint, presa dal demo del 1996.
Due parole sulla produzione (Patrick Damiani si è occupato di gran parte del lavoro e, sotto il nome Hagalaz ha registrato alcune parti di chitarra), semplicemente perfetta per la proposta musicale della band, nient’altro da aggiungere. La copertina, come scritto a inizio recensione, è epica e di grande impatto, l’ideale scrigno per un tesoro musicale tanto atteso e bramato. Chicca finale, l’utilizzo per i testi di un antico dialetto della Germania occidentale ormai in disuso.
Asa è il ritorno in grande stile di Vratyas Vakyas: il re ha deciso di colpire duro e allontanare i pretendenti che da anni aspirano al suo trono. Con il sesto disco in studio ha fatto molto di più, distruggendoli. Ora può dormire sonni tranquilli: nessuno si avvicina per classe e magia alla sua musica; Asa, oltre ad essere il miglior disco del 2013, probabilmente rimarrà nella storia di questo genere musicale.
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