Eluveitie – Everything Remains As It Never Was
2010 – full-length – Nuclear Blast Records
VOTO: 6 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Chrigel Glanzmann: voce, tin e low whistle, cornamusa, mandola – Sime Koch: chitarra – Ivo Henzi: chitarra – Päde Kistler: cornamusa, tin e low whistle – Anna Murphy: ghironda, flauto, voce – Meri Tadić: violino – Kay Brem: basso – Merlin Sutter: batteria
Tracklist: 1. Otherworld – 2. Everything Remains As It Never Was – 3. Thousandfold – 4. Nil – 5. The Essence Of Ashes – 6. Isara – 7. Kingdom Come Undone – 8. Quoth The Raven – 9. (Do)minion – 10. Setlon – 11. Sempiternal Embers – 12. Lugdūnon – 13. The Liminal Passage
Un merito va sicuramente riconosciuto agli Eluveitie: sanno sorprendere.
Hanno sorpreso con il debutto Spirit del 2006: un sound che miscelava sapientemente folk e death svedese. Hanno continuato a sorprendere nel 2008 con l’uscita di Slania, dove le influenze death metal si sono fatte più prepotenti relegando spesso la componente folk in secondo piano: un ottimo lavoro, fresco e ben fatto. Hanno sorpreso praticamente tutti con il successivo album targato 2009: Evocation I: The Arcane Dominion è l’album che nessuno si aspettava, mettendo da parte i chitarroni distorti e le urla in growl per far affiorare nuovamente l’aspetto folk nelle loro canzoni, per quello che però non si può considerare un lavoro del tutto riuscito, ma che testimonia(va) la volontà della band svizzera di non ripetersi.
Arriviamo all’album oggetto della recensione, ovvero Everything Remains As It Never Was, anno domini 2010. La prima cosa che si nota è che i nostri otto musicisti non amano starsene con le mani in mano, confezionando il quarto album in cinque anni. Ed ovviamente non manca il fattore sorpresa che aveva caratterizzato i precedenti lavori, tuttavia non proprio in positivo.
Skippando velocemente il brutto intro si giunge alla title-track, che mette in mostra tutti gli elementi sonori che caratterizzano gli Eluveitie targati 2010, ovvero chitarre robuste, parti folk piazzate al momento giusto ed un ritornello ammiccante. La seguente Thousandfold evidenzia ulteriormente la ricerca degli svizzeri di un chorus capace di far presa fin dal primo ascolto, per quello che è uno dei momenti migliori dell’album, mentre con la terza canzone in scaletta, Nil, i nostri spingono un pochino l’acceleratore, creando un discreto muro sonoro. The Essence Of Ashes è in parte composta da riff che molto devono alla Svezia di metà anni ’90, (quello iniziale è identico a Hedon dei Dark Tranquillity – sicuramente una citazione voluta, tanto più che nel resto della canzone non viene ripreso) e in parte dai loro “soliti” tempi stoppati arricchiti dagli strumenti tipici suonati dal nuovo arrivato Päde Kistler. Distesi su un verde e fresco prato di montagna con il viso rivolto verso il limpido cielo azzurro: questo fanno “vivere” le dolci melodie di Isara, break strumentale di pregevole fattura. Tornano le chitarre distorte e il vocione growl di Chrigel Glanzmann in Kingdom Come Undone, classica canzone con la struttura riff pesante-parte folk-ritornello, ormai loro marchio di fabbrica che in realtà inizia ad essere fin troppo prevedibile. Quoth The Raven si fa notare per il ritornello cantato da Anna Murphy e non basta la lunga cavalcata strumentale per non farla risultare come la canzone più debole dell’album. Le cose migliorano con (Do)minion, mid tempo cupo che colpisce fin dal primo ascolto, portando qualcosa di nuovo ad un sound – a questo punto si può dire – che pericolosamente inizia ad esser già vecchio. Setlon è un altra strumentale di breve durata che, a differenza di Isara, non colpisce e non evoca particolari pensieri; Sempiternal Embers è un riempitivo del quale non se ne sentiva il bisogno, anch’esso con la classica struttura menzionata per Kingdom Come Undone. Ultima canzone “vera” è Lugdunon, brano che avrebbe fatto ottima figura anche nel precedente Evocation I: The Arcane Dominion grazie all’alternarsi di voci growl e pulite, deliziose melodie folk ed una struttura un po’ meno standard (c’è anche un assolo di chitarra!); è certamente l’episodio più interessante e riuscito del lotto. Chiude The Liminal Passage, outro affidato prevalentemente alla bravura di Pade Kistler, ma che non è nemmeno lontanamente paragonabile all’Andro di Spirit-iana memoria.
La sensazione che mi rimane ad ascolto terminato è di un album freddo, non in grado di trasmettere emozioni, povero sia di parti folk veramente godibili sia di parti tipicamente metal di buon valore (ricordate Bloodstained Ground o Tarvos, per andare indietro di solo due anni?). Convinzione mia (e di non poche persone frequentanti avvezze al folk metal) è che la Nuclear Blast li abbia spinti in questa direzione, “consigliando” una semplificazione delle strutture che compongono le canzoni a favore di una certa staticità e linearità (ed ecco l’effetto “già so che ci sarà un cambio di tempo con la melodia che fa così”), cercando la loro “commercializzazione” (per favore, notate le virgolette), qualora il termine possa essere usato per brani di extreme folk metal con voce growl.
Il voto considera la scarsa vena creativa, le “non emozioni” e le soluzioni spesso scontante, ma anche l’ottima produzione e la realizzazione di un cd formalmente perfetto ed inattaccabile sotto molti aspetti.
Perfetto sì, ma privo di cuore.
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