Eluveitie – Helvetios
2012 – full-length – Nuclear Blast Records
VOTO: 6,5 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Chrigel Glanzmann: voce, mandolino, gaita, bodhrán, tin e low whistle – Ivo Henzi: chitarra – Sime Koch: chitarra – Meri Tadić: violino – Anna Murphy: ghironda, voce – Päde Kistler: cornamusa, whistles – Kay Brem: basso – Merlin Sutter: batteria
Tracklist: 1. Prologue – 2. Helvetios – 3. Luxtos – 4. Home – 5. Santonian Shores – 6. Scorched Earth – 7. Meet The Enemy – 8. Neverland – 9. A Rose For Epona – 10. Havoc – 11. The Uprising – 12. Hope – 13. The Siege – 14. Alesia – 15. Tullianum – 16. Uxellodunon – 17. Epilogue
In questi giorni mi sembra di vivere (finalmente!) in un paese scandinavo, tanta è la neve che copre la terra, donando al paesaggio, già di partenza affascinante, quel qualcosa di favolistico e spietato al tempo stesso. Al di là dei problemi logistici, non esiste occasione migliore per tornare bambini e fare pupazzi di neve personalizzati nelle maniere più originali, oppure decidere di andare a passeggiare sui monti in cerca del silenzio più assordante, allontanandosi dalla civiltà che sempre meno mi piace. Guardandomi attorno, contemplando gli alberi carichi di neve fino a piegarli e con la speranza di non incontrare una famiglia di cinghiali, intono le parole del ritornello di Luxtos. Allo stupore iniziale segue un’attenta riflessione sulla qualità del nuovo disco degli svizzeri Eluveitie, arrivati al traguardo del quinto full length. Effettivamente il brano è davvero ben fatto, un pezzo che dal vivo farà sfracelli, capace di entrare nella testa dell’ascoltatore fin dai primi giri nel lettore. Ma il resto delle canzoni? Qualche melodia di Santonian Shores, il riff portante di Havoc (uguale a tanti altri, in verità) e il ricordo del fastidio provato ascoltando A Rose For Upona e l’imbarazzante Alesia. Eppure l’album è composto da ben diciassette tracce, ma evidentemente hanno poco da dire.
L’album, anche esso su Nuclear Blast, è un netto miglioramento rispetto a Everything Remains As It Never Was, e i motivi sono molteplici: la qualità media delle composizioni è leggermente migliorata, le canzoni odorano maggiormente di natura e all’interno di Helvetios ci sono effettivamente diversi brani sopra la media. Sono fortunatamente messi da parte i riff sporchi di influenze metalcore, così come non ci sono più i ritornelli ruffiani con voce pulita. Al loro posto però ha preso spazio la voce di Anna Murphy, con risultati tecnicamente non spregevoli, ma in contesti semplicemente fuori luogo in un disco extreme folk metal.
Ad aprire l’album, dopo il tradizionale intro, è Helvetios, e sin dalle prime note è possibile notare come la ghironda della Murphy sia posta in evidenza dal missaggio. La canzone non è niente di esaltante, ma è comunque un classico buon inizio alla Eluveitie, tra momenti dove gli strumenti tradizionali hanno maggiore spazio e riff di matrice svedese. Le note positive proseguono con quella che probabilmente è la migliore canzone del disco, ovvero Luxtos: tempi medi, chitarre semplici che seguono la melodia e un ritornello che esplode in tutta la sua potenza, dove finalmente Chrigel Glanzmann tira fuori una linea vocale leggermente diversa rispetto a quanto fatto nei dischi passati. L’inizio “grasso” di Santonian Shores è uno dei momenti migliori di Helvetios, anche se il prosieguo è forse scontato tra riff stoppati e ritornelli ariosi: scontato, ma decisamente ben fatto. Meet The Enemy vede la partecipazione come ospite del bravo Fredy Schnyder dei Nucleus Torn, e non a caso la parte strumentale risulta essere davvero interessante. Un riferimento al testo: Meet The Enemy è ambientato nel 58 a.C. e parla dell’“incontro” tra gli Elvezi e le legioni romane di Giulio Cesare, quindi un brano dove rabbia e violenza si sposano bene con l’aggressività della musica. Breve – due minuti e quarantacinque secondi – è The Siege, traccia sparata, diretta, divertente e con un bel violino in evidenza per oltre metà brano. Le varie Home, Havoc (dal piglio leggermente irlandese per quel che riguarda le melodie), The Uprising, Neverland che si distingue per il ritornello catchy e la conclusiva Uxellodunon (quest’ultima trascina stancamente l’ascoltatore alla conclusione dell’album con Epilogue) sono pezzi già ascoltati nei precedenti dischi, con i soliti riff ignoranti di death melodico, i bridge dove compaiono i vari violini, cornamusa e tin whistle prima del ritornello maggiormente melodico. Canzoni che sono fin troppo prevedibili, e quindi di fatto filler e niente di più.
Non mancano ovviamente le note negative: innanzitutto diciassette tracce per cinquantanove minuti di durata sono troppe, anche se ben cinque di esse sono intermezzi o intro-outro, che avranno sicuramente un significato all’interno del disco, ma che dal secondo ascolto in poi si skippano rapidamente. Le parti folk sono all’incirca tutte uguali, eseguite in maniera perfetta, ma anche meccanica, il che per un gruppo folk metal non è proprio il massimo. L’unico momento diverso rispetto al resto è lo scorcio di luce che gode il violino durante The Siege. Alcune canzoni semplicemente non riescono a decollare a causa di un appiattimento delle chitarre che ripetono sempre gli stessi giri, non osando mai qualcosa di diverso o di nuovo, e non brillando in qualità quando sono alle prese con gli ormai consueti riff di scuola Dark Tranquillity post 2000.
Infine, ci sono le due pietre dello scandalo, due canzoni che l’amante del folk non vorrebbe ascoltare in questo contesto: A Rose For Upona e Alesia. La prima è una sorta di power ballad ruffiana con Anna Murphy alla voce, un pezzo che stona nel contesto musicale creato dalle altre composizioni. Alesia, dove Giulio Cesare fece costruire un doppio anello di fortificazioni per assediare la città e poi proteggere le sue legioni dalla controffensiva dei Galli, ha invece un retrogusto americano, una gomma da masticare all’europea, per una sorta di Evanescence del folk, a partire dal pianoforte iniziale al quale si sovrappone la voce femminile e un riffing tipico d’oltreoceano. Il ritornello, cantato a due voci con l’ausilio di Chrigel Glanzmann, è quanto di più commerciale ci si possa aspettare, e non bastano la strofa seguente leggermente più “cattiva” e lo stacco melodeath a far cambiare idea. Anche Inis Mona era un singolo ruffiano, ma quello era un brano più ricercato, più sincero e semplicemente più bello da ascoltare.
La spontaneità e il sound fresco di Spirit e Slania sono decisamente lontani, eppure in questo Helvetios gli Eluveitie riescono, in alcuni frangenti, a riaccendere quella fiammella che li aveva portati all’attenzione del pubblico con i vecchi lavori, prima dell’esplosione mediatica e di vendite.
Helvetios è un disco che dà tutto nei primi tre-quattro ascolti e non cresce oltre, non trasmette nulla in quelli successivi, non regala particolari inizialmente sfuggiti, né tantomeno emozioni di qualunque tipo, ma questo è ormai la normalità per una band fredda come poche.
Anche qui, come per Everything Remains As It Never Was tutto è perfetto: produzione, cura dei dettagli, potenza, e proprio come Everything Remains As It Never Was è un disco formalmente perfetto, ma privo di cuore.
Come sono lontani i tempi dove i gruppi folk (Otyg e Storm in primis) sapevano emozionare!
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