Skyforger – Kurbads

Skyforger – Kurbads

2010 – full-length – Metal Blade Records

VOTO: 8 – Recensore: Mr. Folk

Formazione: Pēteris ”Peter”: voce, chitarraMārtiņš: chitarraEdgars “Zirgs”: bassoEdgars “Mazais”: batteriaKaspars Bârbals: vari strumenti folk, cori

Tracklist: 1. Raganas Lāsts – 2. Ķēvel Dēls3. Deviŋgalvis – 4. Noburtais Mežs5. Tēva Dēa Pagalmā6. Velnukāvēja7. Akmens Sargs8. Pazemē9. Melnais Jātnieks10. Pēdējā Kauja – 11. Kurbads

skyforger-kurbads

Ci sono voluti ben sette anni per vedere pubblicato Kurbads, quinta fatica dei pagan metallers provenienti da Riga. Nell’ormai lontano 2003 diedero alle stampe ben due dischi: il buonissimo Perkonkalve (trad. Thunderforge), e il fantastico Zobena Dziesma (trad. Swordsong), album autoprodotto che si avvaleva della collaborazione della Culture Capital Foundation Of Latvia poiché sponsorizzato dal governo locale. Si tratta di una raccolta di canzoni del folclore lettone, tra canti tradizionali della loro terra e severi ritmi dal sapore sovietico.

Musicalmente parlando gli Skyforger sono partiti da un violento pagan che si sorreggeva su una base di metal estremo, fortemente influenzato dal black, per poi evolvere – nel prima citato Perkonkalve – in un pagan meno aggressivo e più vicino all’heavy metal europeo. Questo Kurbads prosegue il discorso del precedente disco, perdendo parte del senso di pagano che permeava le vecchie release, sostituito con una venatura folk più accentuata (facendo però attenzione a non esagerare in tal senso). Inoltre l’accordatura di chitarre e basso è notevolmente bassa, creando un vero e proprio muro contro il quale l’ascoltatore non potrà far altro che sbatterci violentemente il muso.

Detto del sound, c’è una novità davvero importante in casa Skyforger: per la prima volta i nostri possono contare su un’etichetta potente e organizzata come la Metal Blade Records, dopo anni di Mascot Records (i primi due dischi), Folter Records (Perkonkalve) e addirittura autoproduzioni (Zobena Dziesma).

Il nuovo Kurbads si apre con Raganas Lāsts, una cavalcata dai tempi sostenuti, con riff al limite del thrash e nessuna traccia – se non a inizio brano – di elementi folk. Con Ķēvel Dēls le cose vanno cambiano in meglio, essendo un bel mid-tempo arricchito in vari punti da flauti e cornamusa, in special modo nella parte conclusiva della canzone, dove i vari strumenti creano una melodia poi armonizzata dalle chitarre, per un risultato finale molto piacevole. Di mid-tempo si parla anche con Deviŋgalvis, che grazie all’intervento della cornamusa prende letteralmente vita, prima del (semplice) assolo di chitarra e seguente intreccio di asce alla Iron Maiden. La quarta traccia s’intitola Noburtais Mežs, canzone ben arrangiata che nelle strofe si fa molto “ariosa”, prima dei coretti “oh oh oh” – decisamente anni ’80 e kitch, quindi assai graditi – nel ritornello. I quaranta secondi di Tēva Dēla Pagalmā sono un canto a cappella che ben introduce la successiva Velnukāvējs, in cui i ritmi si fanno (finalmente!) sostenuti e le chitarre s’intrecciano come nei primi due album creando un sound maestoso e pagano al tempo stesso. Molto bello il break centrale con la “marcia” e gli strumenti folk seguiti dalle chitarre che intessono melodie sovietiche prima di tornare aggressive come a inizio carriera: sicuramente la canzone migliore di Kurbads! Le sonorità si fanno oscure e inquietanti con Akmens Sargs, traccia massiccia ma parzialmente rovinata da un vocione growl fuori luogo: migliorano la situazione le belle armonizzazioni di flauto e cornamusa prima del finale simil death metal. Dopo un inizio stranamente melodico, Pazemē, ottava composizione dell’album, conquista l’ascoltatore con dei granitici riff di chitarra, prima del chorus che vede unite voce clean e battlescream del buon Peter, sostenute da accordi aperti di chitarra e melodia di flauto. Molto bella la parte strumentale con la cornamusa del bravissimo Kaspars Bârbals a farla da padrone: Pazemē risulta essere una delle canzoni più riuscite dell’album. Melnais Jātnieks, tolta una piccola parte di cornamusa, ha invece poco a che spartite col folk/pagan, pur mettendo in mostra una bella energia. Carina Pēdējā Kauja, brano che alterna momenti di quiete ad altri più vivaci, spesso conditi da un sottofondo folk mai troppo ingombrante: davvero bello il finale che vede il flauto protagonista. Chiude il disco come bonus la title-track: il suo riffing tedesco sul tappeto di doppia cassa rimanda agli Accept dei primi anni ’80. Si tratta, in realtà, di una cover degli Opus Pro, formazione lituana in attività dal 1986.

La produzione, opera di Kaspars Bârbals, è potente e pulita, con un certo tocco moderno che però non rovina i suoni pieni e decisamente live degli strumenti, chitarre in primis. La performance dei singoli musicisti è nella media: la sezione ritmica offre una prova essenziale e potente, con il basso di Zirgs a rimarcare il robusto drumming di Mazais. La voce di Peter è sporca ma perfettamente comprensibile e, fin dal primo ascolto, si può capire che Tom Angelripper (Sodom) e Lemmy dei Motorhead sono le sue principali influenze. Buono anche l’atteggiamento delle due chitarre, anche se con il passare degli anni i riff si sono fatti meno violenti fino ad arrivare a questo Kurbads dove le influenze anni ’80 (Accept, UDO, Running Wild) del nuovo chitarrista Mārtiņš si sentono parecchio. Infine c’è da elogiare il pregevole lavoro di Kaspars Bârbals, bravissimo a trovare gli spazi giusti per gli strumenti folk, dosandone sapientemente la presenza nei brani.

Distante dai fasti del passato, Kurbads è un (buon) passo avanti per gli Skyforger verso un sound più roccioso e tipicamente metal, allontanandosi dall’estremismo che ne contraddistingueva l’inizio carriera. Kurbads merita tanti ascolti anche anche se i (bei) tempi di Kauja Pie Saules e Latvieδu Strςlnieki sono per stile decisamente lontani.

NB – recensione rivista e aggiornata rispetto alla versione originariamente pubblicata per il sito Metallized.

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