GUNS N’ ROSES + THE DARKNESS + PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS
10 giugno 2017, Autodromo Enzo e Dino Ferrari, Imola
Nel 1994 c’era un ragazzino che in primo superiore scrisse un tema sul concerto dei Guns n’ Roses dell’anno prima a Modena. Un viaggio con lo zio alla volta del grande rock che spopolava in tutto il mondo. Era tutto inventato ma la professoressa non lo sapeva e il voto fu buono. Quel ragazzo 23 anni dopo non ha più bisogno di immaginare un concerto dell’ultima vera rock band, perché i Guns n’ Fucking Roses li ha visti a pochi metri di distanza. 23 anni di attesa ripagati con un mega concerto da quasi tre ore nelle quali i brani che hanno fatto la recente storia della musica rock sono stati eseguiti con grinta e passione nonostante l’età che avanza e il possibile senso di appagamento che potrebbe rovinare il tutto. E invece no: Axl, Slash e Duff hanno dato il 100% in quel di Imola, sudando e suonando come se non ci fosse un domani.
90.000 persone e il sold out avvenuto in pochissimo tempo la dicono lunga sull’importanza del ritorno dei GnR in Italia con i tre membri più importanti. L’amore dei fan, nonostante gli anni di silenzio, di stupido gossip e ridicoli meme, è invariato da quel 1993, ultima tappa italiana della formazione all’apice del successo. 90.000 persone che hanno cantato a squarciagola dall’iniziale It’s So Easy alla conclusiva Paradise City, con tutto e di più nel mezzo: scene d’isteria, lacrime a go-go, abbracci tra sconosciuti. Però la serata è iniziata qualche ora prima ed è giusto parlarne.
Dopo l’evitabile comparsata degli speaker di Virgin Radio (accolti da gran parte del pubblico come delle vere rock star, poveri noi…), si parte con la musica, quella tosta dei Phil Campbell And The Bastard Sons. Sì, il Phil Campbell che ha suonato oltre 30 anni nei seminali Motörhead e che dopo la morte di Lemmy ha messo su una band con i suoi tre figli Todd, Dane e Tyla, rispettivamente chitarra, batteria e basso, e il cantante Neil Starr. Il risultato è un rock’n’roll sporco e massiccio, con buoni riff e un’attitudine molto sincera. Una mazz’oretta di concerto e la prevedibile quanto apprezzata chiusura affidata ad Ace Of Space per la gioia della platea. Rapido cambio di palco e tocca agli inglesi The Darkness: esuberanza, roboanti assoli di chitarra e vestiario kitsch sono le parole d’ordine per la band del cantante/chitarrista Justin Hamilton – in un’attillatissima tutina blu -, in difficoltà nei primi secondi dell’opener Black Shunk e poi autore di un grande show. La sua voce, unita alla compattezza del sound ben più robusto rispetto alle prove in studio, fa la differenza e le trovate acrobatiche (verticale con i piedi in aria a battere il tempo per gli applausi del pubblico) rendono l’esibizione dei The Darkness uno spettacolo anche per gli occhi. Immancabili gli hit One Way Ticket e I Believe In A Thing Called Love, che hanno strappato applausi e sorrisi a tutti quanti.
Scaletta The Darkness: 1. Black Shuck – 2. Every Inch Of You – 3. Growing On Me – 4. One Way Ticket – 5. Loe Is Only A Feeling – 6. Solid Gold – 7. Get Your Hand Off My Woman – 8. I Believe In A Thing Called Love – 9. Love On The Rocks With No Ice
Ma questa è la sera dei Guns n’ Roses, non dimentichiamocelo. Axl e soci salgono sul palco addirittura dieci minuti in anticipo rispetto all’orario previsto dopo l’intro di Looney Tunes: It’s So Easy e Mr. Brownstone sono un’accoppiata pazzesca e l’intero autodromo canta e salta con i musicisti. Nei 170 minuti di concerto c’è spazio per qualche pezzo di Chinese Democracy, ma chiaramente a far la parte del leone è il debutto Appetite For Destruction, dal quale sono estratti ben otto micidiali pezzi. I due Use Your Illusion sono degnamente rappresentati con i vari Estranged (forse il punto più alto dell’intero concerto), Civil War, Double Talkin’ Jive, Yesterdays e You Could Be Mine tra gli altri pezzi. Vi starete chiedendo come ha cantato Axl Rose. Bene, ha cantato bene. Ovviamente gli anni (e gli stravizzi) hanno influenzato la gola tanto quanto la forma fisica, ma è ancora un buon cantante e un grande frontman. Inoltre quando ammicca alle prime file si rimane incantati da quello sguardo, uguale a quando aveva 20 anni, da gran figlio di puttana. Le note lunghe e acute del 1992 sono un ricordo, ma la sua interpretazione è assolutamente convincente con picchi positivi (la già citata Estranged e This I Love) e l’unica vera difficoltà riscontrata durante Coma. Slash e Duff McKagan hanno corso da una parte all’altra del palcoscenico non risparmiando una sola goccia di sudore, così come concreta è stata la prova di del quadrato batterista Frank Ferrer e del chitarrista (ex The Dead Daisies, recuperate i loro lavori che sono belli) Richard Fortus. Come di consueto i GnR hanno suonato diverse cover: dall’immancabile Knockin’ On Heaven’s Door (con l’intro di Only Women Bleed di Alice Cooper) alla misfitsiana Attitude, passando per Live And Let Die dei Wings (band fondata dall’ex The Beatles Paul McCartney) alle “nuove” Wish You Were Here dei Pink Floyd in forma strumentale e la fighissima The Seeker (The Who). Il culmine, però, si raggiunge con l’inaspettato tributo a Chris Cornell, una sentita versione di Black Hole Sun che ha fatto commuovere non poche persone.
Cosa rimane di una serata del genere? Sicuramente l’emozione di aver partecipato a un evento epocale. 90.000 persone per un concerto (di vero) rock in Italia non si sono mai viste. Rimane la certezza che il super trio Axl, Slash e Duff spacca ancora il culo. Rimangono i lividi sul corpo di chi ha combattuto per arrivare sotto al palco e poter incrociare lo sguardo con gli eroi che gli hanno influenzato e cambiato in maniera inequivocabile la vita. I Guns n’ Roses sono le ultime vere rockstar di un mondo musicale che ha provato in tutti i modi di rimpiazzarli con realtà a volte credibili, altre meno, ma fallendo miseramente ogni volta. Che piaccia o no i Guns n’ Roses sono di nuovo e ancora sul trono del rock’n’roll e il concerto di Imola ha certificato la grandezza di una band che è sopravvissuta a tutti gli eccessi possibili e immaginabili, a furiose liti e interminabili anni di silenzio, ma che quando ha deciso di tornare lo ha fatto in grande stile, uno stile esagerato e coatto, quello stile che appartiene solo ai Guns n’ Fucking Roses.
Scaletta Guns n’ Roses: 1. It’s So Easy – 2. Mr. Brownstone – 3. Chinese Democracy – 4. Welcome To The Jungle – 5. Double Talkin’ Jive – 6. Better – 7. Estranged – 8. Live And Let Die (Wings cover) – 9. Rocket Queen – 10. You Could Be Mine – 11. Attitude (Misfits cover) – 12. This I Love – 13. Civil War – 14. Yesterdays – 15. Coma – 16. Slash Guitar Solo [ Speak Softly Love (Love Theme From The Godfather) (Nino Rota cover)] – 17. Sweet Child O’ Mine – 18. My Michelle – 19. Wish You Were Here (Pink Floyd cover) – 20. November Rain (“Layla” piano exit intro) – 21. Knockin’ On Heaven’s Door (Bob Dylan cover) – 22. Nightrain – 23. Don’t Cry – 24. Black Hole Sun (Soundgarden cover) – 25. The Seeker (The Who cover) – 26. Paradise City
Foto di Persephone e Michele Rienzi.
Questo report è dedicato alla mia famiglia che ha pazientemente sopportato venti anni di Guns n’ Roses a volume spropositato.

Rispondi