Wardruna – Skald
2018 – full-length – ByNorse
VOTO: 7 – recensore: Mr. Folk
Formazione: Einar Selvik: voce, taglharpa, corno, kravik lyre
Tracklist: 1. Vardlokk – 2. Skald – 3. Ein Sat Hon Uti – 4. Voluspá (skaldic version) – 5. Fehu (skaldic version) – 6. Vindavla – 7. Ormagardskvedi – 8. Gravbakkien – 9. Sonatorrek – 10. Helvegen (skaldic version)
C’era molta curiosità riguardo al futuro dei Wardruna: una volta esaurita la trilogia sulle rune, cosa avrebbero fatto Einar Selvik e soci? Tanto si è parlato e tanto si è discusso, alla fine quasi a sorpresa esce il quarto disco Skald e il rischio di rimanere a bocca aperta è più che concreto. Skald non è il classico lavoro dei Wardruna: la musica non è cambiata molto in verità, ma dell’approccio “ritualistico” dei tre Runaljod rimane ben poco nei cinquanta minuti del cd. Questo è un disco estremo, difficile da ascoltare e da digerire, in un certo senso anticommerciale anche se, data la notorietà della band e la visibilità che si è meritatamente guadagnata in questi anni, tale definizione può far sorridere. Perché ora i Wardruna sono una macchina da soldi per chiunque abbia a che fare con loro e qui si spiega il perché Skald sia stato pubblicato con il nome Wardruna invece di Einar Selvik, come invece sarebbe stato più logico: troppi soldi in ballo per rinunciare al nome che ha dato vita a un compatto esercito di discepoli per il mondo. Il problema di Skald è tutto qui: il disco sarebbe dovuto uscire con il nome del mastermind norvegese e tutto sarebbe filato liscio come l’olio. D’altra parte si parla di un vero e proprio disco solista, in quanto nelle dieci tracce del lavoro non ci sono i musicisti che sono soliti accompagnare Selvik, tanto meno la talentuosa e imprescindibile Lindy Fay Hella. Chi cercherà i Wardruna in queste tracce troverà Selvik in veste di scaldo (come da titolo), naturale seguito di quanto fatto nell’EP Snake Pit Poetry: tutto è molto minimale, voce e uno strumento.
Minimale e difficile, queste sono le parole che riassumono l’intero Skald. Superato lo shock iniziale (anche positivo) l’ascolto del disco si rivela essere ostico perché non c’è spazio per cambi di ritmo o melodie tetre e avvolgenti. Voce e uno strumento alla volta, tutto molto spartano e controcorrente in un mercato dove il pubblico sembra scegliere l’aspetto alla sostanza. La scelta di Einar Selvik ricorda quella di Eddie Vedder, voce dei Pearl Jam che, dopo il successo della colonna sonora del film Into The Wild ha pubblicato un album solista anticommerciale (ma bellissimo) come Ukulele Songs, ovvero un disco nel quale c’è spazio solo per la sua voce e l’ukulele, strumento che ama profondamente. Pur in termini di notorietà e vendite assai differenti, le due storie si assomigliano e se Vedder ha giustamente pubblicato Ukulele Songs in veste solista, lo stesso avrebbe dovuto fare Selvik per Skald. Perché in questo album, tolte due rivisitazione di Helvegen e Fehu, c’è ben poco dei Wardruna.
Sapendo a cosa si va incontro, nell’ambiente giusto e con la necessaria curiosità, Skald sa regalare intense emozioni. L’ascolto migliore è forse quello delle piccole dosi, un paio di canzoni alla volta. Tutto d’un fiato è un disco quasi noioso e con la pecca dei sedici interminabili minuti di Sonatorrek, per fortuna posta quasi in chiusura. Le canzoni, tolta l’appena citata, sono interessanti e riescono a creare un alone magico e mistico, quasi uno scheletro che poi potrebbe essere rielaborato e portato a nuova vita dai musicisti dei Wardruna. Prese singolarmente le canzoni sono piccole gemme, Selvik canta con il cuore e più di una volta si hanno i brividi dall’emozione e anche le versioni “skaldic” dei tre brani dei Wardruna suonano convincenti nella nuova veste.
Bello se preso per il verso giusto, noioso se ci si aspetta il classico lavoro dei Wardruna. Sicuramente Selvik è riuscito anche con Skald a far parlare della sua band, ma da un nome del genere ci si aspetta di più: di dieci canzoni tre sono rielaborazioni tratte dai vecchi lavori, Ormagardskvedi è una nuova versione di Snake Pit Poetry e solamente sei sono i pezzi nuovi. Pur con dei momenti meno brillanti e un po’ raffazzonato, Skald non riesce a non piacere anche se i fasti dei tre Runaljod sono molto distanti.
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