Wolfchant – Call Of The Black Winds
2011 – full-length – Massacre Records
VOTO: 7 – recensore: Mr. Folk
Formazione: Lokhi: voce, mouth harp – Nortwin: voce pulita – Ragnar: chitarra solista – Skaahl: chitarra ritmica – Bahznar: basso – Norgahd: batteria, fisarmonica – Gvern: tastiera
Tracklist: 1. Black Winds Rising (prelude) – 2. Stormwolves – 3. Eremit – 4. Black Fire – 5. Naturgewalt – 6. Heathen Rise – 7. Never Will Fall – 8. Die Nacht Der Wölfe – 9. The Last Farewell – 10. Der Stahl In Meinem Feinde – 11. Call Of The Black Winds
2011, anno dispari, buono quindi per far uscire sul mercato il nuovo album dei Wolfchant, band tedesca che con svizzera precisione ha rilasciato i dischi a ventiquattro mesi di distanza l’un l’altro: i precedenti Bloody Tales Of Disgraced Lands, A Pagan Storm e Determined Damnationsono infatti datati rispettivamente 2005, 2007 e 2009. Call Of The Black Winds prosegue le coordinate stilistiche delle precedenti release senza apportare significative innovazioni, cercando semplicemente di smussare alcune spigolature del songwriting che in parte rovinavano quanto di buono proposto dal settebello bavarese: si parla quindi di un mix ben riuscito di viking e pagan metal, senza essere né troppo sacrale, né troppo brutale e violento.
L’album si apre dopo il solito e inutile intro con Stormwolves, brano che racchiude nei cinque minuti abbondanti di durata le caratteristiche migliori dei Wolfchant: riffing diretto, lo scream di Lokhi che s’intreccia in maniera efficace con la voce pulita e vagamente declamatoria di Nortwin, cori intensi ma non troppo potenti (come invece capita spesso di sentire, finendo per avere un effetto finto-plasticoso che rovina la parte interessata) e la chitarra di Ragnar che ci delizia con melodie semplici, ma molto valide. La successiva Eremit suona decisamente aggressiva ed è impreziosita dal buonissimo lavoro della coppia di axemen Skaahl e Ragnar. Naturgewalt segue molto da vicino l’andatura dell’opener, essendo quasi uguale sia per struttura che per efficacia, mentre maggiormente delicata si dimostra essere Heathen Rise, lunga cavalcata metallica di buona fattura. Piacevole è la sorpresa di The Last Farewell: una power ballad in un disco di pagan/viking metal è cosa rara come la neve ad agosto. La parte tirata con doppia cassa e scream vocals a circa metà canzone non fa altro che far risaltare maggiormente il resto della composizione, incentrata per lo più su accordi privi di distorsione e riff molto ariosi; la canzone è la mosca bianca di Call Of The Black Winds e risulta essere una delle migliori composizioni dei Wolfchant per personalità e buon gusto. Vigorosa è Der Stahl In Meinem Feinde, ben strutturata e ritmata anche grazie al prezioso lavoro dietro le pelli di Norgahd. A chiudere l’album troviamo la title track, quasi nove minuti di lunghezza, melodica e potente al tempo stesso, ricca di cambi d’umore tra sfuriate extreme metal e accordi aperti che spezzano il ritmo e donano al brano un senso di completezza che raramente i Wolfchant sono riusciti a esibire.
La qualità audio è più che buona, il missaggio, opera di Markus Stock – già a lavoro con Empyrium e The Vision Bleak – è equilibrato e dona ad ogni strumento la giusta visibilità, mentre la bella copertina è stata disegnata dal talentuoso Ingo Tauer, il quale ha in precedenza collaborato con Fimbulvet e Minas Morgul.
Con questa uscita i Wolfchant hanno osato qualcosa più del solito e il risultato è apprezzabile, anche se cinquantacinque minuti di disco sono probabilmente troppi e alcuni riempitivi come Black Fire, Never Will Falle Die Nacht Der Wölf e, seppur non propriamente brutti, non aggiungendo assolutamente nulla all’album, sarebbero stati più adatti ad un eventuale utilizzo come bonus track in versioni limitate del disco. Call Of The Black Winds è un lavoro discreto, piacevole per gli appassionati di queste sonorità e, al tempo stesso, interessante per coloro i quali intendono iniziare a saperne di più sui Wolfchant e sul pagan metal teutonico.
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