Ci sono poche realtà nell’attuale scena metal in grado di proseguire il percorso musicale iniziato con il primo disco e portarlo avanti con novità e voglia di evolversi senza per questo snaturare il proprio suono. Gli Shores Of Null arrivano con Beyond the Shores (On Death and Dying) al terzo disco, quello che una volta si diceva essere “della maturità”, e lo fanno con la faccia tosta di chi sa di avere tra le mani qualcosa di veramente eccezionale: un full-length composto da una sola canzone dalla durata totale di oltre trentotto minuti. Se musicalmente la formazione romana/abruzzese aveva già fatto gioire gli amanti del gothic/doom metal con i primi due lavori Quiescence e Black Drapes for Tomorrow, con Beyond The Shores (On Death and Dying) la band che vede Davide Straccione alla voce si è superata con un concept profondo, toccante ed emotivamente forte, andando a toccare quello che forse è l’ultimo tabù della società occidentale, ovvero quello della morte. La base è affidata allo studio de “Le cinque fasi dell’elaborazione del lutto” della psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross; non solo gli Shores Of Null hanno realizzato una grande, affascinante canzone che non stanca nemmeno dopo ripetuti ascolti, ma sono stati in grado di incastrare parole e musica con maestria evitando i facili cliché nel testo e dando grande enfasi quando le parole lo richiedevano. A completare lo sforzo creativo, e per rendere il discorso artistico ancora più esauriente, gli Shores Of Null hanno realizzato insieme alla crew di Sanda Movies il videoclip/corto per la canzone, con immagini bellissime e struggenti al tempo stesso. Insomma, non si sta parlando della classica metal band che realizza il “classico” album, ma siamo al cospetto di un gruppo musicale in possesso di quel qualcosa in più che lo rende speciale.
Dopo essermi appassionato alla musica, il video mi ha letteralmente emozionato e non potevo non contattare la band per la chiacchierata che potete leggere qui sotto. Buona lettura!
Quando ho saputo che il vostro disco avrebbe contenuto una sola canzone dalla durata di quaranta minuti ho subito pensato a Crimson degli Edge Of Sanity. Riconosco che sia un pensiero che può avere chi si aggira sui quarant’anni, è stato così pure per voi?
Matteo: Io ne ho 30, e ho avuto quasi lo stesso pensiero! Ovviamente parliamo di un disco diversissimo rispetto a Crimson, ma in generale per me è stato bello unirsi a questo gruppo ristretto di dischi mono-traccia, per cui fra l’altro ho un debole. Tra i miei preferiti, oltre a Crimson c’è sicuramente anche Light Of Day, Day Of Darkness dei Green Carnation. Avvicinandoci sia in termini temporali che di sonorità, sicuramente nel gruppo abbiamo tutti apprezzato anche Winter’s Gate degli Insomnium. Comunque sono stati pensieri successivi alla composizione, non ci siamo mai seduti a tavolino dicendo di voler comporre un disco di questo tipo.
Mi piacerebbe sapere come è nato il disco/canzone. Non credo che vi siate messi a tavolino dicendo “facciamo una canzone lunga quanto un cd”, ma che questa sia “cresciuta” col tempo fino ad arrivare alla durata finale. Come sono andate le cose?
Matteo: Esatto. Come dicevo prima, non eravamo partiti con l’intenzione di comporre un disco di una singola traccia, però c’era la volontà, anche per beghe contrattuali con la nostra vecchia etichetta (Candlelight/Spinefarm) che in quel periodo ci stava tenendo completamente bloccati, di fare qualcosa di molto diverso e sperimentale. Avevamo già un altro disco completamente registrato infatti, a cui però volevamo che fosse riservato un trattamento promozionale diverso rispetto a quello pessimo ricevuto da Black Drapes For Tomorrow. Così l’idea di liberarci di questi vincoli con un disco ‘extra’, l’ultimo che avremmo dovuto pubblicare con la vecchia etichetta, per poi cercare qualcosa di meglio con il quarto disco. Alla fine in realtà siamo comunque riusciti a divincolarci dalla situazione in cui ci trovavamo, anche perché una volta finito ci siamo resi conto di amare alla follia questo disco che doveva essere solo un esperimento, e abbiamo voluto dedicarci ad esso con tutto l’impegno possibile.
Il testo è ispirato al lavoro della psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross e in particolare “le cinque fasi dell’elaborazione del lutto”, ovvero le diverse fasi mentali che vivono le persone alle quali è stata diagnosticata una malattia terminale, ma anche le persone che stanno per perdere un proprio caro. Detto che il tema si presta benissimo alla vostra musica e tornando “seri”, qualcuno di voi ha studiato questo argomenti e il lavoro della Kubler-Ross?
Davide: Nessuno di noi è uno studioso della materia ma è un concetto che ci ha particolarmente affascinato, data la struttura dilatata del brano pensavamo si potesse prestare bene ad un approccio più narrativo. Ho scritto il testo focalizzando l’attenzione sulle sensazioni della persona morente, dalla fase di negazione a quella dell’accettazione finale. È un lungo e doloroso viaggio e ci piaceva rappresentarlo a modo nostro, prendendo la morte e il morire da un’angolazione diversa.
L’elaborazione del lutto è un meccanismo difficile e doloroso, ma anche estremamente affascinante per capire e conoscere meglio noi stessi e le persone che ci stanno attorno. Come e a chi è venuta l’idea di questo concept?
Davide: Ricordo che mentre il brano stava prendendo forma Gabriele mi suggerì di basare il testo sul lavoro della Kübler-Ross, in particolare sul suo libro del 1969 “La morte e il morire” (“On Death And Dying” in inglese, così come il sottotitolo del nostro disco). Così mi sono messo subito alla ricerca e ho letto il libro, uno studio fatto di interviste a malati terminali, estremamente innovativo per l’epoca, grazie alle quali la Kübler-Ross riesce a formulare le cinque fasi del lutto. Se te lo stai chiedendo, non ci sono stati lutti che hanno influenzato la scrittura, ma è innegabile che noi, in quanto esseri umani, non siamo e non saremo mai pronti ad affrontare la morte senza sofferenza, inoltre col passare degli anni ci troviamo a doverci confrontare con questo argomento sempre di più, il che ci ricorda la fragilità dell’esistenza.
Musicalmente la canzone è estremamente varia e ricca di spunti particolari, come l’utilizzo del pianoforte e del violino, ma è sempre ben presente il vostro marchio di fabbrica che fa dire “questi sono gli Shores Of Null”. L’idea di stare attenti per quaranta minuti consecutivi può spaventare, ma ascoltando la vostra musica non è per niente difficile e una volta terminato l’ascolto si riparte con un nuovo play. A tal proposito avevate “paura” di osare troppo e di chiedere uno sforzo insolito agli ascoltatori?
Matteo: Eravamo consapevoli che dal punto di vista commerciale e promozionale, tutto questo non avrebbe sicuramente giocato a nostro favore. La soglia di attenzione delle persone, come dimostra il funzionamento dei più moderni social network (TikTok ad esempio), è estremamente bassa, e pretendere che l’ascoltatore abbia 40 minuti di tempo da dedicarci è un qualcosa di rischioso ed ambizioso. Anche dal punto di vista dei servizi musicali di streaming come Spotify, l’idea non va di certo a nostro vantaggio: è infatti quasi impossibile venire inseriti in una playlist editoriale (quelle con centinaia di migliaia di followers, per intenderci) con una traccia di 40 minuti. Inoltre, anche se una persona dovesse ascoltare per intero il disco, verrebbe conteggiato un ascolto, mentre nel caso di un disco normale con una decina di tracce, ne verrebbero conteggiati dieci. C’è da dire però che per tutti la musica è stata sempre la cosa più importante, quindi non limiteremmo mai uno sviluppo compositivo solo per logiche di mercato. Questo allo stesso tempo non significa che ignoriamo queste logiche, anzi. Questo è il disco in cui lo sforzo promozionale profuso sia da noi come band che da Spikerot come etichetta è stato sicuramente il più alto della nostra vita come Shores Of Null, e i risultati sembrano incoraggianti. Tanto per tornare a Spotify, siamo passati da una media di 300 ascoltatori mensili ad una di 10000.
Quando vi ho visto la prima volta in concerto e non sapendo che tipo di musica aspettarmi, un’amica mi disse “un incrocio tra Enslaved e vecchi Opeth”. Queste band sono state importanti per la vostra formazione musicale? Ascoltando però Beyond The Shores (On Death And Dying) che è il vostro terzo studio album, mi sono venuti in mente i My Dying Bride per l’utilizzo di alcune melodie delle chitarre e i vecchi Katatonia per le atmosfere tetre in alcuni punti. Secondo il mio modesto parere, però, tutto il disco suona col vostro sound e credo che questa sia una cosa importantissima.
Matteo: Ho sempre visto questo gruppo come un mix tra diverse correnti. Quella gothic-doom, (Katatonia, Paradise Lost, My Dying Bride), quella del black metal più melodico (moderni Enslaved, Borknagar) e quella del death melodico (à la Dark Tranquillity per capirci). Non ci paragonerei agli Opeth dell’epoca death metal se non nella cupezza delle atmosfere, vista la differenze sia nelle strutture che nell’aspetto più prog delle loro composizioni, che sono sicuramente più tecniche delle nostre. Con questo album abbiamo virato decisamente più verso la prima di queste correnti, quindi su un doom più lento e dilatato, ma penso sia corretto quello che dici rispetto a una continua presenza di fondo del nostro sound, anche perché un disco di quasi 40 minuti a mio parere deve contenere una certa varietà al suo interno per non annoiare.
Nel disco ci sono molti ospiti e, non per togliere nulla agli altri, i più noti sono sicuramente Mikko Kotamäki (Swallow The Sun), Thomas A.G. Jensen (Saturnus) ed Elisabetta Marchetti (INNO). Come è avvenuta la scelta degli ospiti e avete pensato a loro nel momento della creazione delle parti musicali o una volta fatta la musica avete pensato “chi potrebbe starci bene”?
Matteo: La cosa è andata di pari passo con la composizione. Quando una parte della canzone veniva creata, spesso pensavamo subito a quale artista avrebbe potuto esaltarla. E’ stato così nel caso di tutti e tre i guest da te nominati. Siamo davvero contenti di averli non solo in piccole parti, ma in tutta la durata del componimento (come se fossero dei membri del gruppo a tutti gli effetti), e che abbiano accettato di volare direttamente in Italia per realizzare le composizioni vocali insieme a noi. E’ stato a tutti gli effetti un lavoro a più mani e il risultato ci soddisfa in toto.
I primi due lavori sono usciti per la Candelight Records, etichetta che è ben nota agli appassionati di metal. Il nuovo disco esce per la Spikerot Records, etichetta gestita dal vostro cantante Davide Staccione. Cosa vi ha spinto a pubblicare con un’etichetta “piccola” dopo aver lavorato con una storica? Forse la completa libertà per quel che riguarda tempistiche e promozione?
Matteo: Con Candlelight ci siamo trovati decisamente bene durante gli anni di Quiescence. Quando questa però fallì e fu inglobata da Spinefarm (sotto-etichetta della Universal) le cose cambiarono molto. Non solo la promozione del secondo disco fu completamente assente, ma l’etichetta stessa per gravi incapacità di gestione ci mise moltissimo i bastoni tra le ruote. Tanto per fare un esempio, la nostra musica e i nostri video venivano bloccati per motivi di copyright, comportando ritardi sulla pubblicazione letteralmente letali per la buona diffusione del disco. Non avevamo nessun tipo di controllo sulla nostra musica, e non potevamo farci niente, se non scrivere decine di mail a cui ricevevamo risposta forse una volta su dieci, dopo settimane. Eravamo letteralmente bloccati. Per questo abbiamo preso la decisione di lasciare Candlelight/Spinefarm e accettare l’offerta di Spikerot, con cui abbiamo una collaborazione totale e contatti direttissimi, visto anche che il nostro Davide è uno dei soci. Abbiamo un controllo totale della nostra musica, ogni aspetto della promozione è coordinato, e come dicevo prima, i risultati si vedono.
Quando credi che il Covid-19 possa influenzare negativamente la buona riuscita di un album, visto che non è possibile promuoverlo dal vivo (e quindi fare girare il nome, ma anche incasso tra cd e magliette)? A tal proposito, farete qualcosa in streaming come fatto in estate dagli INNO?
Matteo: Sicuramente la influenza moltissimo. Oggi la maggior parte dei dischi che un artista al nostro livello riesce a vendere è ai concerti, e ovviamente anche andare in tour è il modo migliore per farsi conoscere. In questo periodo bisogna fare il 1000% per compensare questa situazione. Per quanto riguarda un live streaming, non è in programma, vista anche la situazione logistica della band. Tre componenti sono di Roma, Davide vive in Abruzzo, e io vivo in Olanda, il che crea chiaramente dei disagi vista la difficoltà di spostamento, ma non si sa mai.
Ho visto più volte il video/film (come lo vogliamo chiamare?) che avete realizzato e devo dire che mi sono emozionato ad ogni visione. Ne ho parlato con alcuni amici e tutti hanno avuto la stessa reazione, in particolare il ritornello “sit with me, hear the silence so loud”, con Davide all’interno del feretro che posa la mano all’altezza della mano della vedova… da lacrime. In realtà avrei diverse domande da fare, ma forse è meglio lasciare carta bianca a voi della band, con la libertà di raccontare tutto quello che desiderate sulla realizzazione di questo piccolo capolavoro.
Davide: come per ogni nostro video, dietro c’è Sanda Movies, ed in particolare Martina L. McLean, che su Beyond The Shores fa anche alcuni scream. Martina è abilissima ad assorbire le tematiche e a tradurle in immagini, ed in questo caso credo si sia superata: un video per un intero brano di quasi 40 minuti credo non sia mai stato concepito finora e chiaramente non è stata un’impresa facile. Salvo qualche imput da parte nostra, e da parte mia soprattutto per la scelta di parte delle location, tutto il lavoro è stato svolto da Sanda Movies, che ha ricamato una storia a dir poco da pelle d’oca. Il fatto di voler lasciare il testo in sovraimpressione è stata una scelta fatta all’ultimo, letteralmente pochi giorni prima di andare online, poiché ci siamo resi conto che, così facendo, si riuscisse ad apprezzare al meglio anche il video stesso, creando un tutt’uno tra musica, parole e immagini. Abbiamo inserito anche i sottotitoli in italiano, opzionali, per offrire la stessa esperienza “multisensoriale” anche a chi non padroneggia l’inglese. La scelta dei luoghi, la montagna, gli spazi aperti, il carro funebre, il cimitero, la vedova, tutto concorre a creare una visione della morte e del morire, delle sensazioni che essi portano con se, dell’impatto che questi eventi hanno su se stessi e sui propri cari.
Una volta entrati in studio avete registrato ben due dischi: il presente Beyond The Shores (On Death And Dying) e il successore. Anche se il nuovo Beyond The Shores è ancora freschissimo, si possono avere delle informazioni sul prossimo album? Non potevate fare come i Guns n’ Roses e pubblicare due dischi separati ma in contemporanea? Si scherza eh, anche gli Arstidir Lifsins hanno inciso due album nella stessa sessione in studio, ma i cd sono usciti a un anno di distanza per ovvi motivi…
Matteo: Non abbiamo mai considerato l’idea di pubblicare due dischi in contemporanea. Pensiamo che entrambi ne perderebbero in termini di attenzione ricevuta, e inoltre le spese per la produzione e la promozione di un disco sono davvero enormi, figuriamoci per due! Davvero non sarebbe stato possibile. Del disco futuro possiamo dire che sarà un disco standard rispetto alla struttura, quindi con più tracce, e che rappresenta una naturale evoluzione del nostro sound, dopo Quiescence e Black Drapes For Tomorrow.
Siamo arrivati alla fine dell’intervista. Intanto vi ringrazio per il vostro tempo e ci tengo a farvi di nuovo i complimenti per un disco davvero bello e profondo come poche volte capita di ascoltare. Volete aggiungere qualcosa?
Davide: Grazie mille per il supporto, spero piaccia anche ai lettori. Vi ricordiamo che potete trovare il nostro disco sia in cd che in vinile ma anche merch su Spikerot.com e su shoresofnull.bandcamp.com
Rispondi