The Rolling Stones: esseri immortali?

Pochi secondi di Angry, canzone d’apertura del nuovo Hackney Diamonds, ed è facile capire che a suonare sono i The Rolling Stones. In verità basta la prima plettrata del primo accordo e non ci sono dubbi: i Rolling Stones sono tornati!

Ci sono voluti diciotto anni, tanti ne sono passati dal precedente A Bigger Bang del 2005, per avere un nuovo disco marchiato Jagger/Richards (Blue & Lonesome del 2016 è un album di cover blues), ma l’attesa, come si suol dire, ne è valsa decisamente la pena.

Hackney Diamonds è l’essenza del rock: chitarre, groove, una voce seducente e musica che fa muovere il culo. D’altronde cosa si deve chiedere ai Rolling Stones se non un disco di puro, classico, ispirato rock’n’roll?

Qualcuno ha detto (???) che questi vecchi fanno sempre la stessa musica, che tanto vale sentire un Tattoo You, che la musica è già stata tutta inventata.

I The Rolling Stones fanno esattamente questa musica da sessant’anni, se c’è qualcuno che può dire di aver inventato il rock’n’roll, beh, Jagger e Richards sono tra i pochi che possono permetterselo; cosa aspettarsi, quindi, da ottantenni arzilli con ancora tanta voglia di divertirsi e far divertire? Esatto, Hackney Diamonds (che è nello slang di Londra, oltre a un quartiere poco raccomandabile – Hackney –, è anche il modo di dire per indicare i vetri rotti di una finestra in seguito dell’intrusione dei ladri) è esattamente quel tipo di album, completo di tutto il repertorio dei Rolling Stones, tra schitarrate graffianti, bei pezzi blueseggianti, qualche “paraculata” un po’ troppo radiofonica (Mess It Up, canzone che potenzialmente può girare in qualunque radio commerciale) e tanto rock d’annata.

Un disco dei The Rolling Stones è un evento, una festa, e alle feste non mancano mai gli invitati. Per l’occasione troviamo Stevie Wonder, Lady Gaga ed Elton John, ma anche Bill Wyman, bassista della band dal 1962 al 1993 e, soprattutto, Sir Paul McCartney nel brano Bite My Head Off. Un intreccio, una collaborazione questa tra The Rolling Stones e The Beatles, che ancora oggi fa sognare ogni appassionato di rock. A differenza di quanto si diceva tempo fa, ovvero che McCartney avesse suonato in tutte le canzone del nuovo album dei Rolling Stones, l’ex Beatles ha inciso solo due brani – uno non utilizzato per questa release –, ma diciamocelo francamente, anche così va più che bene. E poi troviamo il nuovo batterista Steve Jordan che sostituisce lo storico Charlie Watts, scomparso nel 2021 e con la band fin dai primi mesi del 1963, che comunque compare in un paio di brani. Jordan fa il suo lavoro con ordine e gusto, d’altronde non è certo uno sprovveduto, con un CV che recita, tra gli altri, Robben Ford, Bruce Springsteen, Neil Young, Eric Clapton e John Mayer Trio.

Tante parole, ma cosa rimane alla fine dell’ascolto di Hackney Diamonds?

Rimane lo stupore per come due ottantenni e un giovanotto di settantasei anni (Ronnie Wood) riescano a produrre ancora oggi un disco assolutamente godibile, divertente, fresco e che non piange pensando al passato, senza momenti di stucchevole nostalgia, anzi guardando avanti, perché che vuoi fare, non le porti ‘ste canzoni in tour? Queste dodici composizioni meritano di essere suonate sul palco, in grado come sono di dare gioia a chi le ascolta, magari abbinando la musica alle classiche movenze sexy di Mick Jagger mentre Keith Richards macina note (ormai senza più la sigaretta in bocca) con le sue iconiche mosse. Non si parla certo di capolavoro, ma AngryWhole Wide World e la già citata Bite My Head Off non sfigureranno vicino a classici immortali come Start Me Up(I Can’t Get No) Satisfaction e Paint It Black, quindi la domanda che mi pongo (esattamente come avvenuto per i Deep Purple di Whoosh!) è: ma come diavolo fanno? Sono forse immortali questi The Rolling Stones?

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