Arkona – Yav
2014 – full-length – Napalm Records
VOTO: 8 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Masha “Scream”: voce, tastiera – Sergei “Lazar”: chitarra – Ruslan “Kniaz”: basso – Vladimir “Volk”: gaita gallega, blockflute, tin whistle, low whistle, sopilka – Vlad “Artist”: batteria (1-6) – Andrei Ischenko: batteria (7-9)
Tracklist: 1. Zarozhdenie – 2. Na strazhe novyh let – 3. Serbia – 4. Zov pustyh dereven’ – 5. Gorod snov – 6. Ved’ma – 7. Chado indigo – 8. Yav’ – 9. V ob’jat’jah kramoly
Gli Arkona sono diventati, grazie agli ottimi dischi pubblicati, uno dei gruppi di punta dell’intero movimento folk/pagan metal; normale, quindi, che l’attesa per questo Yav, settimo full length per il gruppo di Mosca, fosse a livelli elevatissimi. Bisogna dirlo subito, la band guidata dalla grintosa cantante Masha Arkhipova questa volta ha veramente voluto osare, estremizzando molti aspetti del proprio sound e riducendo o (in alcuni casi) annullando elementi che caratterizzavano i vari Goi, Rode, Goi! e Slovo. Yav è un disco coraggioso, diverso da quanto fatto in passato e da quanto proposto da gruppi provenienti dalla medesima terra, la Russia, o dello stesso genere musicale.
Il disco è composto da nove tracce per un totale di ben sessantasette minuti. Nonostante l’elevata lunghezza il cd si riesce ad ascoltare anche tutto d’un fiato: il merito è della grande qualità delle canzoni. Di certo Yav non è un ascolto semplice e servono diverse ripetizioni per poter capire e apprezzare il gigantesco lavoro svolto dai musicisti in fase di scrittura. La produzione sicuramente aiuta in ciò: suoni potenti e reali e gli strumenti perfettamente tra di loro rendono il cd un’esperienza completa per ogni amante del folk/viking metal. D’altra parte la coppia Sergey/Masha sono ormai una garanzia anche alla consolle, con il primo che ha curato, tra gli altri, anche i suoni di Alkonost, Pagan Reign, Kalevala e Svarga. Il bell’artwork è opera di Gyula Havancsák (bassista dei Bornholm), già autore di copertine anche per conto di Annihilator, Destruction, Stratovarius, Grave Digger e Svartsot.
I nove minuti di Zarozhdenie immergono l’ascoltatore nel nuovo modo di intendere la musica da parte degli Arkona. Il sound è cupo e le chitarre acustiche si sovrappongono alla voce sussurrante di Masha, questione di pochi secondi perché entrano le tastiere su una base di tempi dispari dal sapore progressive e cornamuse in lontananza ci riportano al presente con il tipico, inconfondibile, cantato clean della bionda singer. Nei primi tre minuti la band moscovita si è spinta dove in tanti anni di carriera non aveva mai osato, ma le sorprese non sono certo finite: la non linearità della canzone è spiazzante e al contempo intrigante, il retrogusto seventies è molto forte e il risultato complessivo è di grande qualità. Na strazhe novyh let è un brano complesso ma dall’impronta maggiormente “classica” se si pensa al sound degli ultimi dischi, con un buon lavoro della mai invadente chitarra (bravo come sempre Lazar, musicista nella media ma interprete di grande spessore) arricchito intorno al quarto minuto da un particolare break fatto di percussioni e richiami (in un certo senso) tribali, una vera novità per gli Arkona. Serbia è un urlo di dolore e amore nei confronti di una terra martoriata dalla violenza; la musica, di conseguenza, è drammatica e cupa, al contempo “leggera” per gli standard del gruppo. L’ascolto prosegue con Zov pustyh dereven’, altra canzone dal testo particolarmente sentito. Masha, come nelle altre tracce che compongono il platter, sembra più un’attrice teatrale che una “semplice” cantante, tanto è lo sforzo interpretativo e il sentimento che mette nel compiere il suo lavoro. Le sonorità sono inizialmente estreme (con tanto di blast beat), ma ben presto si fanno spazio arpeggi di chitarra e accordi aperti accompagnati dal violino di Olli Vänskä dei Turisas. Non mancano, però, break più potenti che creano un bel contrasto con la parte finale della composizione, particolarmente malinconica. Con Gorod snov tornano gli Arkona più folkloristici (il violino in questo brano e in altri tre pezzi è suonato da Aleksey “Master Alafern”, musicista poliedrico che ha pubblicato lavori con Sviatogor, Thunderkraft, Triglav e Quintessence Mystica), ma non per questo allegri come ai tempi delle varie Stenka Na Stenku e Yarilo: il sound è simile alle precedenti canzoni, con tempi medi e la chitarra al servizio del risultato finale. Si cambia registro con Ved’ma, canzone che vede l’ex Thyrfing Thomas Väänänen autore del testo e protagonista della composizione come cantante. La storia raccontata è quella di un interrogatorio tra un inquisitore (Väänänen) e una presunta strega (Arkhipova), dello scontro verbale tra i due che anticipa la scontata condanna della donna:
I am not one of the daughters of Abraham!
The open sky is my father
The wild land is my mother
The wolves are my sisters and brothers
And the stars of the night sky are my ancestors
Chado indigo è introdotta dal pianoforte dell’ospite Vika “Vkgoeswild” Yermolyeva, canzone che esplode nel classico sound della band moscovita, con un tocco di malinconia nelle linee vocali mentre la struttura tutt’altro che scontata rende la canzone accattivante, soprattutto nella seconda metà. Da questa traccia, inoltre, è possibile ascoltare al drum kit il nuovo batterista Andrei Ischenko, musicista che ha sostituito lo storico Vlad “Artist”, il quale ha registrato le prime sei brani del cd. I quasi quattordici minuti di durata della titletrack sono la summa della carriera musicale del gruppo capitolino: dai riff taglienti alle orchestrazioni più ariose per passare alla ormai tipica versatilità della brava Masha, cantante che non smette mai di stupire. Nonostante la grande quantità di note e di cambi d’umore, è palese come gli Arkona, almeno per questo lavoro, abbiano voluto mettere da parte alcuni spunti tradizionali a favore di un songwriting più introspettivo e articolato, con la chitarra di Sergei “Lazar” sempre al servizio del risultato finale. Ultima canzone di Yav è V ob’jat’jah kramoly, cupa e doom come mai è capitato nel passato del gruppo, una sorta di outro dal lungo minutaggio che si può riassumere in uno struggente arpeggio a base delle parti narrate.
Si può parlare di una rottura con il passato? Decisamente no. Yav è fresco e un pezzo unico, ma è mosso dagli stessi sentimenti che hanno portato gli Arkona fin dove sono oggi. Musicalmente, pur diverso, gode di alcuni frangenti che hanno distinto i vari Ot Serdca K Nebu e Slovo, con tante sfumature e spunti inediti che, si spera, verranno forse ulteriormente sviluppati in futuro.
Yav è la conferma di un gruppo di spessore, dal sound sempre personale e che merita il successo che negli ultimi anni sta riscuotendo anche al di fuori della Russia. Difficile da ascoltare e assimilare, dopo ripetuti ascolti non potrà far altro che dischiudersi a chi saprà ascoltare.
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