Skálmöld – Baldur
2010 – full-length – Tutl Records
VOTO: 8 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Björgvin Sigurðsson: voce, chitarra – Baldur Ragnarsson: chitarra – Þráinn Árni Baldvinsson: chitarra – Snæbjörn Ragnarsson: basso – Gunnar Ben: tastiera – Jón Geir Jóhannsson: batteria
Tracklist: 1. Heima – 2. Árás – 3. Sorg – 4. Upprisa – 5. För – 6. Draumur – 7. Kvaðning – 8. Hefnd – 9. Dauði – 10. Valhöll
Gli Skálmöld si sono presentati al mondo con personalità e originalità: la foto promozionale che si trovava sul web portava a pensare a una band di heavy metal o qualcosa di moderno e vicino a tutte quelle cose che finiscono per “core”, distanti quindi dall’immagine ormai classica delle giovani bands folk/viking di presentarsi con spadoni, elmi, corni pieni di birra e altri cliché che tutti noi tanto amiamo, ma che sinceramente spesso sanno un po’ troppo di buffonata. Foto che quindi contrasta con l’album Baldur, cinquanta minuti colmi di tradizione viking e richiami al folk della loro terra natia, l’Islanda. Il tempo di un demo contenente solamente due pezzi che ecco la Tutl Records, etichetta faroese dall’occhio lungo, già label degli Heljareyga, side project del leader dei Týr Heri Joensen, li mette sotto contratto. La Napalm Records ha ristampato e distribuito il disco nell’estate 2011 con l’aggiunta della bonus track Kvaðning (edit), ovvero una versione della canzone tagliata in più punti e tre minuti più corta.
I tre minuti di Heima, opener del disco, sono da brividi alla schiena: quel che sembra essere una ninna nanna (con tanto di bambini piangenti e cigolio del pavimento in legno) si trasforma in un imponente coro maschile, elegante e maestoso. La seguente Árás può esser vista come la canzone manifesto degli Skálmöld in quanto contiene, nei sei minuti di durata, tutte le caratteristiche – e le qualità – che li hanno portati in poco tempo al “successo”: all’ottimo ritmo incalzante si contrappone un possente coro che ben si alterna al growl del singer Björgvin Sigurðsson, in un susseguirsi vincente di riff chitarristici e assoli di pregevole fattura. La successiva Sorg è introdotta da suoni acustici prima di esplodere in un pachidermico mid-tempo che vede nei cori l’elemento principale. Una bella botta di adrenalina arriva da Upprisa: ritmo feroce e vocals aggressive per quella che è la canzone maggiormente influenzata dalla scena nord europea anni ’90. Molto intenso lo stacco a metà canzone in cui la tastiera liturgica ricorda i migliori Windir e la marcetta di rullante, con l’aggiunta di voci a metà tra il cantato e il recitato, evocano immagini di rinascita dopo (l’apparente) morte invernale. Un gioiellino – il break – dalla durata di circa due minuti da ascoltare e assorbire per poi lasciarsi trasportare dalle emozioni. För è probabilmente il brano più debole di Baldur, interessante solamente nel chorus catchy e nello stacco “ignorante” – e molto metalcore – a circa metà del timing. Un’allegra melodia folk avvia gli oltre otto minuti di Kvaðning, inizialmente un mid-tempo quasi da festa pagana nonostante il growl del furioso cantante. Da segnalare la bella parte verso tre quarti di canzone con l’intreccio di chitarre alla Iron Maiden versione extreme metal. Hefnd è dotata di un buon tiro, ma risulta essere tra i pezzi meno ispirati di Baldur nonostante l’ottimo lavoro della tastiera in sottofondo e alcuni passaggi particolarmente gradevoli. Assolutamente da segnalare la presenza al microfono (anche nella seconda traccia) di Aðalbjörn Tryggvason, voce e chitarra dei bravissimi Sólstafir. Una melodia che ricorda i gloriosi Windir introduce Dauði, uno dei brani meglio riusciti del disco. La strofa trasuda epicità e “cresce” dopo il lungo assolo di chitarra, aumentando d’intensità a ogni ripetizione fino al termine del brano, dove la melodia windiriana torna come a chiudere il cerchio aperto pochi minuti prima. L’ultima composizione di Baldur è Vallhöl, canzone che ricorda da vicino i Týr per via delle melodie nordiche e l’utilizzo dei cori. I riff semplici sono un ottimo supporto alle linee vocali, mentre gli assoli di chitarra conducono nuovamente al coro iniziale, ora sorretto dalla sezione ritmica e dalle tre chitarre della line-up: un esaltante finale di canzone e album.
Note positive ce ne sono quindi più di una: al songwriting maturo e personale, nonostante la band si sia formata appena nel 2009, si aggiunge la produzione curata da Flex Árnason che risulta di buon livello. Dal punto di vista tecnico la sezione ritmica svolge un lavoro semplice e massiccio donando ai brani compattezza; di gusto le linee vocali e il growl di Sigurðsson, mentre sono davvero eccellenti gli assoli delle chitarre: Baldur Ragnarsson e þráinn Árni Baldvinsson sciorinano note su note dal sapore classicheggiante con buona tecnica e soprattutto non risultando in alcun brano “di troppo”.
Bravi gli Skálmöld nel non aver paura di intraprendere fin dal primo disco una via personale e, come per gli assoli di chitarra, esplorare territori poco conosciuti nel mondo del viking metal. Baldur è un gran bell’album!
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