Ne Obliviscaris – Portal Of I
2012 – full-length – Code666 Records
VOTO: 9 – Recensore: Persephone
Formazione: Xenoyr: voce – Tim Charles: voce, violino – Matt Klavins: chitarra – Benjamin Baret: chitarra solista – Brendan “Cygnus” Brown: basso – Nelson Barnes: batteria
Tracklist: 1. Tapestry Of The Starless Abstract – 2. Xenoflux – 3. Of The Leper Butterflies – 4. Forget Not – 5. And Plague Flowers The Kaleidoscope – 6. As Icicles Fall – 7. Of Petrichor Weaves Black Noise
Per non dimenticare. Per non lasciare che un sussulto – reale o sognato che sia – si spenga nell’amara vanità dei giorni. Nessun oblio, nessuna anelata damnatio memoriae, solo la greve consapevolezza degli istanti vissuti, quel delizioso languore che, insopprimibile, si accompagna all’antica arte della rimembranza. Così recita il monito dei Ne Obliviscaris, così ebbi a leggere un tempo in un volume di Borges: “un simbolo, una rosa può ferirti, un accordo di chitarra straziarti”.
E quale dolce strazio furono per me le note di Forget Not la sera in cui per la prima volta la mia anima – se una me ne è stata concessa – ne fu letteralmente travolta: dal sublime rapimento alla catartica estasi, la musica dei Ne Obliviscaris, sin dal 2007, anno di uscita del sorprendente The Aurora Veil, si erge su vette inarrivabili, le stesse che hanno valso alla band di Melbourne la palpitante aspettativa creatasi intorno all’atteso Portal Of I, debut album del sestetto australiano e nuova, fantasmagorica perla del più estremo tra gli esperimenti finora noti in fatto di metal underground. Un sound intenso e complesso che, ricco di influenze tra le più disparate – dal prog al black, dal thrash al death, dal jazz al flamenco –, non esita a ridisegnare il confine esistente tra i generi e, supportato da un magistrale uso della tecnica, si libra inafferrabile tra i seducenti incanti di una chimerica terra di nessuno, laddove, alla frontiera della consuetudine, spirito, passione e utopia musicale s’incontrano in un’unica, straordinaria miscela di – cito testualmente dalla Code666 – progressive/extreme/melodic/violin-laden metal.
Presenza non secondaria, infatti, il violino dei Ne Obliviscaris, tale Tim Charles, ha un ruolo di primo piano nei voli struggenti che le linee melodiche dei nostri compiono con raffinata naturalezza. E che dire dell’intreccio delle vocals? Potenza e malinconia che, tra il growling (più rari gli accenni di scream) di Xenoyr e il cantato pulito del già nominato Charles, donano profondità e vigore a un songwriting intessuto sui fili di una tanto visionaria quanto armonica difformità. Su tutto, poi, le calde note della chitarra flamenco, quella suonata in taluni pregevoli interludi dal solista della band, il francese Benjamin Baret, per la cui presenza in questo disco non ci si è certo risparmiati: prova ne sia il prolungamento del visto australiano del suddetto, per l’ottenimento del quale, opinione pubblica e industria musicale si sono variamente adoperate – parla chiaro in tal senso la raccolta di tremila firme che, in giro per il mondo, hanno contribuito nel loro piccolo a promuovere la causa perorata dalla band presso il Dipartimento Australiano d’Immigrazione.
Album pensato in tutto e per tutto, dunque, Portal Of I, si apre con la versione ri-registrata di Tapestry Of The Starless Abstract che, insieme con Forget Not ed As Icicles Fall, è qui riproposta in una veste più definita e brillante rispetto a quella presentata nel già vincente demo d’esordio The Aurora Veil. Dodici minuti di “deliranza” sonora che, tra tripudi di doppia cassa, infinite progressioni e improbabili pause atmosferiche, strutturano la sostanza di un elegante arabesco di accordi abilmente impreziosito da un commovente climax finale, in cui splendida si tratteggia la levità della sezione ritmica – in primis il tocco del basso – a sostegno di un toccante canto elevato dai nostri alle vestigia di un novello paradiso fortunosamente ritrovato. Xenoflux prosegue nella sovrapposizione di suoni e colori, vortici cosmici in perpetuo movimento: qui a prevalere è la furia e il folle vaneggiamento delle lyrics in growl… poi, d’un tratto la quiete, l’ora dei violini e delle chitarre arpeggiate, il tutto appena un attimo prima del ritorno alla distorsione e al più disperato dei ruggiti. L’intro jazzata di Of The Leper Butterflies mostra ancora una volta la classe di un brano dagli insospettabili esiti, tra languidi gorgheggi di cantato pulito e un sottofondo d’inaudita violenza sonora, salvo poi sfociare in brillanti evoluzioni chitarristiche, penultima tappa prima della geniale chiosa a inquadramento di uno stupefacente crescendo di violino, il cui rinnovato tappeto d’impensabile devastazione alternativamente stupisce e disorienta. Una cascata di arpeggi, armonici e archi da brividi: questa l’apertura del capolavoro Forget Not, pezzo la cui intensità stringe il cuore in una morsa di ricordi dal sapore acre. Semplicemente perfette le linee di basso, specchio di una base ritmica sempre pulita e ben cadenzata, magnifico il connubio delle voci, avvincente l’equilibrio delle partiture, un ibrido composito dalle innumerevoli sfaccettature. Amo questa canzone, mi perdo tra le sue note e ho solo voglia di ascoltarla e ancora una volta riascoltarla. Ne Obliviscaris. Forget Not. Per non dimenticare. Crea e disfa melodie la seguente And Plague Flowers The Kaleidoscope: un inizio estremamente scandito all’insegna di violino e chitarra flamenco in voluttuosa danza, poi l’irruente ingresso del riffing più feroce e la magia vorticante di arzigogoli in assolo…sfumature sonore che aprono la pista al trionfo delle pelli, il cui piglio incalzante non fa che stravolgere e guidare sino all’ultima, dilaniante conclusione:
… And plague colours
A masterpiece of pain
The portrait of what we are…
Vecchia conoscenza anche As Icicles Fall con i suoi tempi delicati e fluttuanti, sulla cui inconsistenza duro si abbatte poi l’impeto della tempesta: parole sconnesse nei testi, un flusso di coscienza che si spegne e rifiorisce all’unisono con la proteiforme evoluzione dell’essenza strumentale; due anime – acustica ed elettrica – sapientemente unite in un’unica ammaliante osmosi. Chiude Of Petrichor Weaves Black Noise, ultimo florilegio di magnificenza targato Ne Obliviscaris. La sensazione è quella di una pioggia battente, un disperato sguardo che si eleva verso l’inconoscibilità del cielo… è musica per folli questa, per bastardi sognatori, il cui unico limite resta sempre e solo questa fottuta, stramaledetta, avvilente realtà di superficie:
dreamer, I
dream o dream
dream, follow me afar
weep, come kingdom come
(ohh) hope…
libera me…
L’epilogo sacrale resta sospeso a mezz’aria, tra i lamenti di un violino tremante e l’eterea fiaba di un impalpabile coro di straordinaria pregnanza: nessun confine, nessuna regola, una mano tesa a lenire lo spettro del vuoto imperante. Sic est. Questa è la verità di Portal Of I, impresa sublime, prodotta dal violinista e cantante Tim Charles con la collaborazione di Troy McCosker presso i Pony Music Studio di Melbourne. Ultimo tocco quello del missaggio/masterizzazione made in Sweden (Fascination Street Studios) ad opera di Jens Bogren (Amon Amarth, Opeth, Thyrfing, Ihsahn, Katatonia, Eluveitie ecc.).
Come, alfine, concludere? Cinque gli anni di attesa. La visione – oscura e superba gemma di un’inafferrabile divenire – si mostra ora a noi finalmente compiuta. Da più parti si è detto della difficoltà d’ascolto di una proposta del genere, dei tecnicismi, dell’assenza di schemi a tratti di faticoso inquadramento. Io vi dico: li ho amati sin da subito. Alcuni affermeranno che c’è del già sentito, altri che mancano di uno spirito chiaramente identificabile, altri ancora che si fa un gran parlare di un’accozzaglia di noie virtuosistiche. E, nonostante questo, fidatevi, io continuo a dirvi: questi ragazzi volano e fanno volare, chiudete gli occhi, abbandonate i sensi e, miseriaccia, vi prego, non dimenticateli. Forget Not.
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