Wind Rose – Stonehymn
2017 – full-length – Inner Wound Recordings
VOTO: 8 – recensore: Mr. Folk
Formazione: Francesco Cavalieri: voce – Claudio Falconcini: chitarra – Cristiano Bertocchi: basso – Daniele Visconti: batteria – Federico Meranda: tastiera
Tracklist: 1. Distant Battlefields – 2. Dance Of Fire – 3. Under The Stone – 4. To Erebor – 5. The Returning Race – 6. The Animist – 7. The Wolves’ Call – 8. Fallen Timbers – 9. The Eyes Of The Mountain
I lettori di Mister Folk sicuramente ricorderanno i toscani Wind Rose grazie all’interessante intervista a seguito dell’infuocato live show di spalla a Eluveitie e Skálmöld nel 2015. La band di Pisa torna a due anni dal bel Wardens Of The West Wind con un nuovo roccioso platter, il terzo in carriera, dal titolo Stonehymn ed edito dalla svedese Inner Wound Recordings, label che ha avuto nel proprio roster nomi come Jorn, Timo Tolki’s Avalon, Pyramaze e Nocturnal Rites.
I cinque musicisti proseguono il proprio percorso musicale all’insegna del power/folk più cazzuto e diretto, figlio in parte del power metal di scuola teutonica anni ’90 e del folk metal più sontuoso ed elegante di Turisas (periodo The Varangian Way) e simili. Il risultato è un lavoro maturo, concreto, personale e divertente, quarantasei minuti totali suddivisi in nove tracce. La band si autodefinisce “dwarven metal” e non si può non essere d’accordo con loro: il metal di Stonehymn è roccioso e testardo come lo sono i nani di tolkieniana memoria. Quello che però rende l’album vincente è il grande lavoro svolto in sala prove per la creazione dei pezzi. Un’infinità di sfumature, cambi di tempo, chitarre che creano un muro invalicabile prima e subito dopo prendono per mano l’ascoltatore per accompagnarlo lungo il cammino. La prova in studio è eccellente, ma quella del cantante Francesco Cavalieri va rimarcata, vero mattatore dei tre quarti d’ora di musica.
I Wind Rose mettono le cose in chiaro fin dalla seconda traccia (l’opener è un intro) Dance Of Fire: ritmiche possenti, chitarre grosse e ignoranti, ottime linee vocali e orchestrazioni epiche. Tra sussulti tipicamente power metal (Under The Stone) e momenti quasi western metal (ricordate Stone Cold Metal degli Ensiferum?) con Fallen Timbers, spunta la canzone che si spera di ascoltare in ogni cd che s’inserisce nell’impianto stereo: l’inno To Erebor è il capolavoro del disco. Melodie medievaleggianti, cori imponenti e la perfetta sezione ritmica sono i giusti elementi di questo gran pezzo di stampo tolkieniano: c’è da scommettere che Smaug sarebbe terrorizzato d’incontrare i Wind Rose! Gli oltre sette minuti di The Returning Race sono molto vari e inaspettati momenti di drammaticità rendono la composizione diversa da tutte le altre, senza contare i cori “da osteria” (sparsi anche in altri brani) che rendono il tutto più simpatico e divertente.
La copertina del cd è un’opera del maestro Jan “Örkki” Yrlund (Manowar, Korpiklaani, Cruachan, Týr ecc.) e ben si addice al contenuto del disco. La produzione è una bomba e buona parte del merito è di Simone Mularoni, già al lavoro con i Wind Rose in occasione del precedente disco e con realtà italiane di prima fascia come Elvenking, Eldritch, Bulldozer e Necrodeath, il quale ha curato il missaggio e il mastering.
Il terzo disco dei Wind Rose è quello della consacrazione. L’evoluzione avvenuta dopo il demo del 2010 è stata costante e ha portato la band a realizzare un disco maturo e personale, divertente da ascoltare quanto coinvolgente. Durin I sarebbe fiero di questi cinque toscani!
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