Sicuramente uno dei migliori gruppi italiani e in grado di rivaleggiare con le band d’oltralpe, i Kanseil hanno da poco pubblicato il secondo disco Fulìsche, un affascinante viaggio tra la storia e la natura che li circonda. I loro racconti in chiave folk metal sono affascinanti quanto sinceri, un’occasione per (ri)scoprire le nostre origini e recuperare i ricordi degli anziani che tanto hanno ancora da raccontarci. Tra mestieri umili ma indispensabili e piccole realtà di montagna che non vogliono piegarsi al cemento del progresso, i Kanseil hanno trovato, ancora una volta, il modo per avvolgere l’ascoltatore con il binomio musica-parole.
Fulìsche è il vostro secondo full-length, a tre anni dal bel debutto Doin Earde. Quali sono le differenze tra i due lavori (se ce ne sono) e in cosa voi come persone e come musicisti siete cambiati?
Fulìsche può essere visto come una naturale evoluzione di Doin Earde anche se sicuramente si tratta di un lavoro più maturo sotto diversi punti di vista, sia per quanto riguarda l’aspetto compositivo sia per gli arrangiamenti. Possiamo dire che chi ha apprezzato Doin Earde difficilmente resterà deluso dal nuovo album. Per quanto ci riguarda personalmente sentiamo di aver maturato una consapevolezza ed un’esperienza maggiore dal 2015 ad oggi, sia sul palco che in sala prove. Ovviamente c’è sempre tanto da imparare e sempre nuovi spunti per crescere e migliorare.
Come siete arrivati alla firma per Rockshots Records? Il contratto prevede anche altri lavori?
Rockshots Records si è fin da subito dimostrata interessata al progetto, ancora prima che entrassimo in studio di registrazione per la produzione di Fulìsche. La collaborazione finora è stata professionale ed efficace per cui non possiamo che essere soddisfatti del lavoro svolto. Il contratto in ogni caso non prevede altre uscite ma ovviamente è ancora presto per parlare.
Cosa rappresenta la copertina del disco?
La copertina di Fulìsche ha un forte significato simbolico. Abbiamo voluto rappresentare le Fulìsche, “Faville” nel nostro dialetto, che avvolgono volti e simboli del nostro passato. Storie che pian piano si stanno perdendo e, come faville, abbiamo pochissimo tempo per osservarle ed ammirarle, prima che spariscano per sempre nel buio della notte. Un lavoro abilmente creato da Manuel Scapinello e impaginato da Ettore Garbellotto.
I testi, come sempre, sono fortemente legati al territorio. Vi chiedo quindi di fare una panoramica sui vostri scritti e di approfondire uno o due testi a voi particolarmente cari.
I nostri brani sono legati indissolubilmente al nostro territorio, alla storia e alla cultura locale, oltre che a leggende o miti di cui le nostre montagne e le nostre valli sono ricchissime. In Fulìsche raccontiamo di vecchi mestieri, come quello del carbonaio, della guerra e delle tragedie che hanno ferito la nostra regione e i nostri avi, ma anche di leggende e storie delle nostre montagne e in particolare dell’Altopiano del Cansiglio. Personalmente alcuni dei testi che sento più vicini sono Orcolat, pezzo che in forma di leggenda racconta il terremoto del Friuli del 1976, ricordo ancora vivo in tutto il Nord-Est, oppure Il Lungo Viaggio che parla dei tantissimi Veneti emigrati in tutto il mondo nel dopo-guerra, in cerca di lavoro per mantenere le proprie famiglie, un tema direi più che attuale…
Sono rimasto molto colpito da La Battaglia Del Solstizio: il mio bisnonno era proprio lì e sono cresciuto con i racconti di nonna sulle peripezie (e le tragedie) che il padre si portava dentro dopo quella terribile battaglia. Gli argomenti che trattate sono sempre interessanti e spingono le persone a informarsi su internet e, meglio ancora, ad acquistare libri scritti da studiosi. Siete orgogliosi di ciò? Era forse un vostro obiettivo quello di invogliare la gente a saperne di più sulla propria storia e la propria terra?
Assolutamente. Il nostro primo obiettivo è, nel nostro piccolo, far conoscere o riscoprire qualche storia della nostra terra che molto spesso neanche i nostri coetanei conoscono. Se in quello che facciamo riusciamo a dare uno spunto di riflessione o ad incentivare la ricerca non possiamo che esserne soddisfatti.
C’è una canzone che mi emoziona particolarmente ed è Serravalle. Volete parlarne un po’ ai lettori del sito e raccontare come è nata la musica e la parte cantata?
Serravalle è il centro storico più a nord di Vittorio Veneto, uno dei luoghi più suggestivi dell’intera città. Nelle domeniche d’inverno è bello vedere i bambini giocare per le strade e la gente scendere in piazza per stare insieme e salutare il nuovo giorno che sta nascendo. Il brano è un omaggio a tutti i piccoli borghi italiani che hanno una storia da raccontare. Molto spesso ci dimentichiamo delle ricchezze che abbiamo vicinissimo a noi, abituati ad alzare lo sguardo verso mete lontane. Musica e testo sono stati scritti dal nostro batterista Luca Rover.
Avete scelto il brano Pojat per realizzare il videoclip. Il risultato è veramente bello e vale la pena guardarlo più volte. Vi siete trovati bene a suonare nel bosco? Ci sono storie e aneddoti che vale la pena raccontare?
La produzione del videoclip di Pojat ci ha impegnato per diverse settimane e il risultato finale è merito di tutte le tantissime persone che ci hanno aiutato e che hanno collaborato alla sua realizzazione, dagli attori, al regista a tutte le persone che, chi più e chi meno, ci hanno affiancato in una delle esperienze più belle della nostra carriera musicale. Suonare nel bosco è stato molto suggestivo ma anche divertente e abbiamo dato sicuramente spettacolo ai tanti passanti che si fermavano a guardare cosa stava accadendo. Storie ed aneddoti ce ne sono a centinaia, non saprei veramente da quale iniziare!
Per il release party di Fulìsche avete avuto come ospite sul palco il coro Code Di Bosco: come è nata la collaborazione e come è stato averli lì con voi durante il live?
La collaborazione con le Code di Bosco è nata quasi casualmente durante le riprese del video di Pojat grazie ad un caro amico che canta all’interno del coro e che ci ha aiutato durante la preparazione del set. Per descrivere cosa accomuna un coro maschile di 40 persone con una band folk metal userò una metafora molto bella che esprime meglio di 100 parole questa collaborazione: i Kanseil e le Code di Bosco sono lo stesso seme, piantato in terreni diversi, il risultato è differente ma l’origine e l’obiettivo sono i medesimi. Anche le Code come noi recuperano vecchie storie del territorio e le portano alla gente attraverso la Musica. Una collaborazione in tal senso è sorta in maniera quasi naturale ed averli con noi sul palco è stato molto emozionante ed evocativo. Chi era presente potrà sicuramente confermarlo.
In Vallòrch è presente Sara Tacchetto, voce dei Vallorch. Trovo sia molto bello quando due band collaborano tra di loro, è lo spirito giusto per fare un passo in avanti tutti insieme. Come vedete la scena italiana e pensate che magari si possa fare qualcosa in più, tutti insieme?
Credo che nell’Underground la collaborazione tra band sia fondamentale per far crescere tutta la scena e noi con Vallòrch abbiamo voluto dare un piccolo esempio, collaborando con Sara Tacchetto e Paolo Pesce, grandi musicisti, amici e colleghi. Spero che sempre di più in futuro si riesca ad abbandonare gli sterili odi reciproci e invece si riesca ad aumentare la qualità e la varietà della proposta musicale, dandosi una mano a vicenda per crescere tutti insieme. Utopia? Forse. Ma noi ci crediamo e cerchiamo di dimostrarlo.
Non avete mai suonato al centro o al sud Italia. Come ve lo spiegate? Forse perché il folk metal fa numeri decenti solo al nord?
Abbiamo già avuto in passato richieste per suonare in sud Italia ed è uno degli obiettivi che ci siamo fissati per la prossima stagione di live. Il nord Italia e in particolare la Lombardia restano in ogni caso il bacino con il maggior numero di fans del nostro genere ma siamo sempre pronti a nuove esperienze e a portare la nostra musica e le nostre storie anche a chi ancora non ha avuto occasione di ascoltarci.
Da poche settimane avete anche una birra tutta vostra che vendete ai concerti e tramite il sito Bandcamp. Come la descrivereste a chi non l’ha ancora assaporata? E inoltre, tantissimi gruppi hanno più bottiglie d’alcol che dischi ai propri banchetti, è perché i dischi – purtroppo – si vendono sempre meno e una band deve comunque rientrare delle spese?
La birra Kanseil è nata dalla collaborazione con il Birrificio Bradipongo, è un Imperial Stout forte e corposa, con note di caffè e liquirizia. È stato uno sfizio che ci siamo voluti togliere da amatori del luppolo e che siamo felici di condividere con i fans nei nostri live più per creare un momento conviviale che per ritorno economico.
Cosa farete nei prossimi mesi? Solo promozione dell’album o state anche lavorando a delle nuove canzoni?
I prossimi mesi saranno ancora dedicati alla promozione del nuovo album cercando di portarlo il più possibile in Italia e all’estero. Poi riprenderemo con la composizione, abbiamo ancora tante storie da raccontare e tante idee da portare avanti!
Un saluto ai lettori di Mister Folk?!
Grazie per la piacevole intervista, un caloroso saluto a tutti, ci si vede presto sotto al prossimo palco! 😉
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