Einherjer – Norrøne Spor
2018 – full-length – Indie Recordings
VOTO: 8 – recensore: Mr. Folk
Formazione: Frode Glesnes: voce, basso – Ole Sønstabø: chitarra – Aksel Herløe: chitarra – Gerhard Storesund: batteria
Tracklist: 1. The Spirit Of A Thousand Years – 2. Mine Våpen Mine Ord - 3. Fra Konge Te Narr - 4. Kill The Flame – 5. Mot Vest – 6. Spre Vingene – 7. The Blood Song – 8. Døden Tar Ingen Fangar – 9. Tapt Uskyld – 10. Av Djupare Røtter – 11. Deaf Forever (Motörhead cover)
La buona notizia è che gli Einherjer hanno pubblicato un bel disco. La storica band norvegese, in realtà, non ha mai pubblicato lavori scadenti – e Dragons Of The North XX, in questo caso, va visto come “inutile” – ma pare chiaro che nelle ultime release Glesnes e soci non siano riusciti a recuperare quell’alone magico che permeava i vecchi cd. Da una parte è normale che sia così, il tempo passa e quasi tutto quello che è pre 2000 viene visto come bello/innovativo/cult, ma è innegabile la bellezza e l’ispirazione dei vari Dragons Of The North (quello originale, del 1996) e Blot. Parlando prettamente di musica, per quanto piacevoli, Norrøn e Av Oss, For Oss sono disco ben fatti e con spunti vincenti, ma lontani anni luce dai capolavori prima citati. Questo Norrøne Spor, invece, riesce a unire nei cinquantadue minuti di durata validi riff di chitarra e atmosfere gelide nello stile ormai classico del quartetto di Haugesund. Di sicuro, gli Einherjer sono tornati a comporre musica tutti insieme, a differenza di quanto avvenuto per gli scorsi album, e questo potrebbe essere il motivo per cui le canzoni sono tutte convincenti e ben fatte: il lavoro di squadra ha pagato.
Artwork e produzione vanno di pari passo: colori e suoni freddi, perfetti per la musica di Norrøne Spor. Quel che conta, però, è la musica, e questa volta gli Einherjer hanno centrato il bersaglio. Fin dall’ottima opener The Spirit Of A Thousand Years si respira aria di grande Nord ed epiche gesta, la mano della tradizione ha guidato sapientemente Glesnes e Storesund nella creazione di dieci tracce ispirate dalla storia dei vichinghi, grandi navigatori ma anche guerrieri temibili e abili artigiani. Fra Konge Te Narr sembra un inedito del 1998 e stupisce nella parte finale quando la chitarra improvvisamente diventa protagonista con un prezioso assolo. La sei corde, finalmente, trova spazio e luce in un lavoro viking metal, e sono diversi gli assoli che impreziosiscono le canzoni dell’album; in questo genere musicale i virtuosismi non sono richiesti, ma quando gli assoli ben si incastrano nelle trame dei brani ne guadagna la musica. Kill The Flame e Mot Vest sono tra i migliori pezzi del platter, con quest’ultima dannatamente anni ’90 nell’incedere, mentre la prima ha un alone oscuro che sembra inghiottire tutto quello che c’è nei dintorni. Si prosegue con The Blood Song, ovvero la più classica delle canzoni degli Einherjer: tutto è già sentito, “classico”, in un certo senso prevedibile, ma è fatta talmente bene che entra subito nel cuore di chi ascolta. Tutto l’opposto di Døden Tar Ingen Fangar, dal ritmo dinamico, il ritornello quasi melodico e una sonorità che mai si era sentita in un album di Glesnes e soci; anche qui la chitarra ha modo di esprimersi in solitaria prima che i riff tornino prepotenti a farla da padrone. I suoni crunchy caratterizzano la solida Tapt Uskyld, mentre a chiudere Norrøne Spor ci pensano i quasi sette minuti di Av Djupare Røtter: cupa, soffocante e senza speranza, la musica sembra riprendere la copertina del disco per guidarci verso l’abisso della disperazione. Eppure, in fondo, c’è la luce, ed è lì che stiamo andando.
La canzoni sono belle, c’è poco altro da aggiungere. Inoltre non mancano momenti più ricercati del solito, quasi inusuali (l’ultimo minuto di Tapt Uskyld), e l’aver rispolverato dei begli assoli di chitarra dà maggior spessore all’album; infine, anche la cover dei Motörhead Deaf Forever è ben fatta e rivisitata il giusto secondo l’attitudine dei norvegesi. Cosa dire se non ben tornati Einherjer?
Rispondi