Týr – Valkyrja

Týr – Valkyrja

2013 – full-length – Metal Blade Records

VOTO: 7,5 – Recensore: Mr. Folk

Formazione: Heri Joensen: voce, chitarra – Terji Skibenæs: chitarra – Gunnar H. Thomsen: basso

Tracklist: 1. Blood Of Heroes – 2. Mare Of My Night – 3. Hel Hath No Fury – 4. The Lay Of Our Love – 5. Nation – 6. Another Fallen Brother – 7. Grindavísan – 8. Into The Sky – 9. Fánar Burtur Brandaljóð – 10. Lady Of The Slain – 11. Valkyrja – 12. Where Eagles Dare (bonus track) – 13. Cemetery Gates (bonus track)

tyr-valkyria

Dopo un disco scialbo e povero d’idee interessanti come The Lay Of Thrym, i Týr risorgono letteralmente con il nuovo Valkyrja, primo lavoro per la Metal Blade Records dopo aver concluso la collaborazione con l’austriaca Napalm Records, label che ha permesso loro di farsi conoscere in tutto il mondo.

Nei mesi precedenti ci sono stati dei cambiamenti di non poco conto: detto del passaggio d’etichetta, la vera notizia è stata quella dell’abbandono del batterista Kári Streymoy, con la band dal lontano 1998. Al suo posto, solamente per Valkyrja, ha suonato il formidabile drummer dei Nile George Kollias, musicista che ha svolto bene il compito senza metterci molto del suo.

I testi del settimo studio album della band proveniente dalle Isole Fær Øer raccontano di un guerriero vichingo che si allontana dalla propria moglie per impressionare le Valchirie sul campo di battaglia e guadagnarsi, in questo modo, la Valhalla o la possibilità di essere condotto presso Fólkvangr, la dimora di Freyja, dea dell’amore, della fertilità e della seduzione. Heri Joensen spiega in poche parole il concept: “la donna che il guerriero lascia può rappresentare la donna terrena. Freyja, la Donna dei Caduti, può rappresentare la perfezione della Donna e la Valchiria è la connessione fra le due, che porta l’uomo dalla donna terrena a quella divina.

Freyja and the Necklace (J. Doyle Penrose, 1913)
Freyja and the Necklace (J. Doyle Penrose, 1913)

Il disco inizia con Blood Of Heroes, canzone piacevole nella sua semplicità: il classico sound post Land alterna momenti dove le linee vocali vengono enfatizzate a discreti giri chitarristi, probabilmente quello che mancava al precedente The Lay Of Thrym. Si prosegue sullo stesso stile con Mare Of My Night, canzone definita dalla band stessa come la “più sessualmente esplicita”. Con la terza Hel Hath No Fury sembra di tornare al 2008 con l’oscuro e intricato Land, disco sottovalutato se ce n’è uno: le asce di Joensen e Skibenæs si intrecciano meravigliosamente, recuperando parte dell’epicità nordica che negli ultimi lavori è andata completamente perduta. Un arpeggio malinconico accompagna la voce di Liv Kristine, ospite inaspettata e gradita, storica singer dei Theatre Of Tragedy e dal 2003 dei Leave’s Eyes. Si tratta di una sorta di power ballad (termine tipico del giornalismo musicale ’90, ormai completamente in disuso…forse perché non esiste più un vero giornalismo musicale?) dalle tinte romantiche che non stona affatto in Valkyria. Si cambia registro con Nation, composizione a metà strada tra i Týr più progressivi di inizio carriera e quelli più lineari (ma assolutamente ottimi) di By The Light Of The Northern Star: buone linee vocali faroesi (finalmente!!!) e assoli di chitarra di qualità sono i punti di forza del brano. Tempi veloci per Another Fallen Brother, canzone piatta nelle strofe per quanto avvincente nel ritornello, dove i musicisti riescono a creare una potente atmosfera bellicosa; ottima la parte strumentale con gli assoli dei due axemen, una vera botta di vita! Grindavísan è, per quanto mi riguarda, la traccia migliore di Valkyrja. Il cantato è nuovamente in faroese, le melodie di chitarra prese dalla musica popolare, i cori sono epici e toccanti, tutto perfetto per una canzone che porta i ricordi a diversi anni fa, quando il folk/viking era ancora un genere genuino e non di tendenza. Grindavísan è da ascoltare più e più volte perché è la canzone che tutti i fan di vecchia data dei Týr aspettavano da anni. La breve Into The Sky (meno di tre minuti di durata) è un up-tempo inconcludente, un riempitivo e niente più. La seconda canzone in faroese è Fánar Burtur Brandaljóð, dove le parti strumentali sono molto belle e suggestive e le accelerazioni di Kollias rendono la traccia più dinamica e accattivante. Lady Of The Slain è la più aggressiva del platter: la veloce doppia cassa e i riff taglienti di inizio brano mettono subito le cose in chiaro. Lo sviluppo della composizione è ancora meglio, con stacchi inaspettati, fischi e accelerazioni al fulmicotone, il tutto con il classico cantato (unico) di Joensen. Ultimo brano in scaletta è la title track, oltre sette minuti che scorrono velocemente tra cori, melodie classiche e linee vocali che rimangono impresse fin dal primo ascolto. Infine, come bonus track, troviamo due cover: Where Eagles Dare degli Iron Maiden e Cemetery Gates dei Pantera. Entrambe molto simili alle originali, vanno viste come semplice tributo e sicuramente non come reinterpretazione, esattamente come avvenuto due anni fa con i pezzi di Rainbow e Black Sabbath.

I suoni di Valkyrja sono buoni, la produzione è ben bilanciata e un poco secca, adatta per il sound dei Týr. Il disco è stato registrato negli Hansen Studios di Jacob Hansen, voce/chitarra dei thrashers danesi Invocator, noto soprattutto per il lavoro svolto in studio con Destruction, Aborted, Mercenary, Persefone, Volbeat e tanti altri. In questa occasione, però, ha “solamente” co-prodotto Valkyrja insieme ai ragazzi della band.

Non tutto in casa Týr è perfetto, vedi la registrazione delle parti di batteria con un session man, per quanto di lusso, e in un certo senso sprecato, come George Kollias. Il musicista non segue la band in tour, dove dietro al drum kit siede Amon Djurhuus, collaboratore di Joensen negli Heljareyga. Non si poteva sostituire Streymoy (storico batterista che ha lasciato la band per problemi di salute, alla schiena in particolare) direttamente con Djurhuus? Misteri del music business.

Musicalmente, rispetto al recente passato, si è fatto un bel passo in avanti, ma chi ha amato i Týr di Eric The Red e Ragnarok in tempi non sospetti fatica ad accettare questa evoluzione che ha portato il gruppo faroese verso lidi definibili, tra molte virgolette, mainstream. Di buono c’è che Valkyrja può soddisfare praticamente tutti, essendo un lavoro diviso in due parti: la prima è più orecchiabile e con canzoni piuttosto semplici, mentre nella seconda torna a galla la vecchia vena progressiva che contraddistingueva Joensen e soci ad inizio carriera.

Valkyrja è il gradito ritorno su livelli qualitativi medio/alti di una band data per spacciata da molti, me compreso, ma che ha saputo reagire alla grande, confezionando un disco godibile e ben fatto. I bei tempi di Eric The Red sono ben lontani, ma di questi tempi, di un cd come Valkyrja, non ci si può certo lamentare. Bentornati Týr!!!

Týr 2013
Týr 2013

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