Kampfar – Djevelmakt
2014 – full-length – Indie Recordings
VOTO: 8,5 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Dolk: voce – Ole Hartvigsen: chitarra – Jon Bakker: basso – Ask: batteria
Tracklist: 1. Mylder – 2. Kujon – 3. Blod, Eder og Galle – 4. Swarm Norvegicus – 5. Fortapelse – 6. De Dødes Fane – 7. Svarte Sjelers Salme – 8. Our Hounds, Our Legion
Le gambe appesantite dal fango, alto fino alle caviglie, l’odore di erba bagnata e terrore nell’aria, un rumore inesistente di passi che entra nel cervello fino a farlo impazzire. Bloccato e braccato, con i tronchi degli alberi che fanno da scudo verso l’ignoto ma che rinforzano il senso di paura e angoscia, consapevole che il demone che muove i musicisti norvegesi sotto al nome Kampfar mi raggiungerà e non avrà pietà di me.
Così è ogni volta che esce un nuovo lavoro della band capitanata da Dolk: l’odore della terra umida e del sottobosco più intimo si fa largo nelle mie narici, la consapevolezza che dinanzi alla smisurata potenza della Natura siamo nulli e impotenti. E poi quell’iniziale urlo straziante, feroce, inimitabile per quanto ci si sforzi per genuinità e cuore:
Helvete! I forbannede!
Helvete! I som er beredt
Helvete! Djevelen og hans engler
Helvete! En manifestering av hat
i et fravær av lys
L’opener Mylder vale da sola l’acquisto del sesto full length (il primo su Indie Recordings) dei Kampfar: gli oltre sei minuti e mezzo di durata volano via con la stessa rapidità con cui i riff di chitarra (e il potente drumming di Ask) cambiano volto più volte alla canzone. Le atmosfere sono quelle “classiche” alle quali ci hanno abituato i quattro norvegesi, ma non mancano piccoli particolari, dettagli che permettono al sound di suonare “classico” ma al contempo evoluto. Il songwriting è, difatti, quello che da anni caratterizza il combo norvegese, ma il recente cambio di line up, con il nuovo chitarrista Ole Hartvigsen che ha sostituito lo storico Thomas Andreassen (in verità uscito dalla band da qualche anno), ha dato al gruppo nuova linfa vitale. Un cambio di formazione passato inosservato, ma che ha portato in dote ai Kampfar un musicista esperto e di qualità, come testimonia anche il disco Attende che Hartvigsen ha inciso, come bassista, con i Mistur, una formazione decisamente – e ingiustamente – sottovalutata. La seconda traccia Kujon ha un bel groove, meno soffocante rispetto all’opener ma non per questo meno feroce. Si tratta di un’aggressività diversa, più “elaborata”, con arpeggi semi-puliti, accordi aperti e riff melmosi come solo i Kampfar sanno fare. Dopo una breve introduzione gotica alla The Vision Bleak fa il suo ingresso l’affilta Blod, Eder og Galle, up tempo dai riff brutali sui quali Dolk costruisce una litania maledetta da far venire i brividi. Piccoli – azzeccatissimi – inserti di tastiera rendono ancora più monumentale la canzone che, sicuramente, in sede live non farà prigionieri. Swarm Norvegicus è maggiormente atmosferica, con le trame di chitarra in primo piano e le strazianti urla di Dolk, un frontman di razza superiore, a dilaniare la carne dell’ascoltatore. Note di pianoforte portano a Fortapelse, composizione che alterna momenti di oscura violenza ad altri maggiormente aperti e adatti all’headbanging. L’ascolto di Djevelmakt prosegue senza un attimo di tregua: è il momento di De Dødes Fane, killer song la quale, all’interno dei suoi cinque minuti di durata, riassume tutte le caratteristiche e gli umori musicali dei Kampfar targati 2014. Svarte Sjelers Salme è caratterizzata da una melodia sinistra sulla quale Dolk gioca molto, mentre nelle strofe – veloci e dirette – non si può far altro che tenere il tempo con dita, piedi e testa, come rapiti da un’estasi malefico-musicale. Il gran lavoro di Ask alla batteria è il motore dei Kampfar e non c’è una traccia durante la quale si mette particolarmente in evidenza in quanto tutte e otto le canzoni lo vedono protagonista con un drumming potente e preciso, dinamico e ricco di cambi di tempo. L’ultima canzone di questo gran bel cd è Our Hounds, Our Legion: il primo minuto è un semplice arpeggio di chitarra dal sapore neofolk, mentre il proseguo si sviluppa nel più classico pagan black metal che da venti anni rende la band di Bergen una dei massimi esponenti del genere.
La produzione è rozza nell’anima, ma grandiosa e perfetta per potenza e pulizia: tutto quel che serve per far suonare un disco come Djevelmakt in maniera spaventosa Peter Tägtgren e Jonas Mats Kjellgren (Immortal, Amorphis, Belphegor ecc.) lo hanno fatto, e meritano – come sempre accaduto in carriera – un sincero applauso. La copertina, invece, è l’unione di tre dipinti: la base risale al 1981 ed è dell’artista polacco Zdzisław Beksiński, con altre due tele che sono stage “aggiunte” per creare l’effetto finale, e sono una dello stesso Beksiński e l’altra dell’inglese John Charles Dollman.
Il 2014 è già un buon anno grazie a Djevelmakt, album di altissima qualità che rafforza ulteriormente un nome, quello dei Kampfar, troppo spesso “dimenticato” quando si parla di grandi gruppi.
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