I Seventh Genocide sono una giovane realtà capitolina che si è messa in mostra grazie alla buona musica contenuta nei due dischi Seventh Genocide e Breeze Of Memories, e agli intensi live show, primo fra tutti il RomaObscura II, dove aprirono per gli irlandesi Primordial. L’occasione per scambiare due chiacchiere con il bassista/cantante Rodolfo Ciuffo è l’uscita del secondo album, sentiamo cosa ha da dirci:

Classica apertura: presenta la tua band ai lettori di Mister Folk.
La storia della band ha inizio nel 2006, quando io e il nostro attuale chitarrista Stefano (che suonerà nel primo periodo solo per qualche anno), da molto piccoli, abbiamo deciso di mettere su un gruppo. In realtà all’inizio la nostra attività si limitava solamente a fare esperienza in sala prove e a cambiare continuamente musicisti, tra qualche cover e bozze di brani originali. L’idea di diventare una band vera e propria si è concretizzata nel 2010, quando con una line-up finalmente stabile e totalmente nuova abbiamo iniziato a comporre dei brani black metal che sono diventati poi parte del primo album. Da allora è stata un’evoluzione continua che ha portato anche all’allontanamento dal black metal tout court a favore di un genere molto più contaminato da influenze diverse tra loro ed aperto alla sperimentazione.
Mi hai parlato della line-up rinnovata, cosa è cambiato nei Seventh Genocide?
Sì, esatto. Questa primavera dopo cinque anni di stabilità entrambi i chitarristi si sono allontanati dalla band e al loro posto sono entrati Stefano Allegretti e Jacopo Pepe, già membri del gruppo post-rock Angew, dove suono anche io. Il loro ingresso ha dato un’enorme spinta evolutiva ai Seventh Genocide; dal punto di vista di attitudine, scelta dei suoni, idee compositive e varietà delle influenze non siamo mai stati così in armonia, il feeling tra noi quattro è assolutamente perfetto, tanto che ripensandoci faccio fatica a credere che sono nella band solo da qualche mese.
Avete da poco rilasciato il disco Breeze Of Memories, hai tutto lo spazio che vuoi per descriverlo.
Breeze Of Memories rappresenta senz’altro l’inizio di un’evoluzione musicale che è ancora in atto. Dopo il primo album avevo già svariate idee, ma si discostavano notevolmente dal black metal tradizionale, alcuni passaggi erano più post-rock altri più folk, e soprattutto l’atmosfera era molto più sognante rispetto ai riff freddi dei brani precedenti. Così insieme li abbiamo sviluppati e il risultato è stato questo ibrido che segue la scia dei primi Alcest, forse la band che ha influenzato maggiormente il songwriting del disco. Per la produzione ci siamo rivolti a uno studio e abbiamo cercato al meglio di curare i suoni e renderli conformi all’atmosfera che intendevamo trasmettere (un lavoro che nel primo album è totalmente assente, essendo praticamente un live). Inoltre nonostante svariati problemi, siamo davvero soddisfatti del risultato, sono molto legato a questi cinque brani.
L’ultima traccia, strumentale, ha il titolo in italiano, Il Lampo. Come mai questa scelta e pensi che la nostra lingua possa essere utilizzata anche per un testo?
Il nome in realtà viene da una poesia di Giovanni Pascoli e l’abbiamo scelto proprio perché avendo tra le mani un brano strumentale non c’erano limiti di coerenza con il titolo, né per quello che riguarda le tematiche, né per la lingua. Non nego che l’idea di utilizzare come testo la poesia in questione o un qualsiasi altro scritto in italiano mi sia già venuta, ma poi alla fine non mi ha totalmente convinto. Per il momento continuerò a scrivere in inglese, poi forse in futuro cambierò idea, non lo escludo.
Nel 2012 avete debuttato con il cd Seventh Genocide. Quanto e come pensi si sia evoluto il tuo gruppo tra i due lavori?
Tra i due dischi c’è una differenza abissale. Seventh Genocide è molto immaturo, sia per i suoni così approssimativi e sporchi, sia per l’esecuzione di alcuni pezzi. I brani poi sono stati composti durante una fascia temporale piuttosto lunga e la registrazione è stata eseguita mentre suonavamo live, per questa ragione più che un album vero e proprio va considerato come una compilation di demo del nostro periodo black metal. Breeze Of Memories invece è un lavoro professionale, creato con l’idea di trovare un approccio alla musica totalmente nostro.
Seventh Genocide è uscito per la messicana Azermedoth Records: come siete giunti a loro e come mai non avete continuato il rapporto lavorativo?
La Azermedoth era fra le varie label a cui abbiamo sottoposto il disco, ascoltandolo a loro è piaciuto e hanno deciso di rilasciarlo. I motivi per cui abbiamo deciso di non continuare con loro sono svariati: per prima cosa non hanno rispettato le tempistiche e il numero di copie da spedirci che avevamo concordato, ma soprattutto perché si tratta di una label che rilascia solo ed esclusivamente black metal nella sua forma più grezza e primordiale, nulla a che vedere con Breeze of Memories e il materiale che stiamo componendo ora.
Breeze Of Memories è stato pubblicato dall’italiana Naked Lunch Records, ti va di raccontare di questa collaborazione?
Certamente. Ho conosciuto Jacopo Fanò tramite Metallized, la webzine su cui scrivevo qualche anno fa e di cui lui è ancora parte. Ero affascinato dalla Naked Lunch per l’approccio così sperimentale e il suo roster composto da dischi al limite dell’avanguardia. Non ho mai minimamente pensato che i Seventh Genocide potessero entrare in contatto con una realtà tanto esterna al metal, invece è stato proprio lui a propormi la collaborazione: stavamo parlando della sua etichetta quando è uscito quasi per caso il fatto che noi avevamo un disco pronto in cerca di una distribuzione.
L’artwork è stato realizzato da Moon Sung-ho, come sei entrato in contatto con quest’artista, che, tra l’altro, ha lavorato anche con gli italiani Blaze Of Sorrow?
Sono entrato in contatto con lui inizialmente per il mio interesse nei confronti della Misanthropic Art Production, l’etichetta che portava avanti, di cui mi piacevano diversi dischi tra cui il debut degli Alda, che consiglio a chiunque stia leggendo l’intervista. Quando ho visto i suoi artwork sono rimasto affascinato dal suo stile ed essendo stato lo stesso per tutti, abbiamo deciso di contattarlo. Il risultato ci è piaciuto moltissimo, si adatta perfettamente alla musica.
Il disco è stato pubblicato anche in musicassetta, una scelta sicuramente inusuale! Pensate di stamparlo anche al formato vinile?
Assolutamente, anzi colgo l’occasione per dire che siamo in cerca di un’etichetta interessata a rilasciare l’album in vinile. Siamo dei collezionisti incalliti e per questo ci affascinano formati fisici alternativi al CD come la cassetta o il vinile. Oltretutto tenevo d’occhio da diverso tempo la Red River Family Records sia per la sua attitudine “cascadian” e naturalistica che tanto mi affascina, sia perché adoro molti gruppi del loro roster (Aylwin, Encircling Sea ed Evergreen Refuge sono solo alcuni). Sono stato davvero contento quando Ariale, la co-proprietaria, ci ha contattati per accogliere la nostra proposta di rilasciare con loro una versione in cassetta dell’album.
Dopo questo disco cosa volete realizzare? State già pensando al successore?
Assolutamente, c’è talmente tanta empatia ed entusiasmo tra noi quattro che siamo riusciti a comporre un intero nuovo album in pochi mesi! Anche le registrazioni sono quasi ultimate, manca veramente poco. Questa volta le atmosfere saranno decisamente più oscure del precedente, ci saranno molte influenze esterne che vanno dal progressive rock anni ’70, passando per l’ambient e la musica sperimentale. Sarà l’album più lungo della nostra discografia e ci saranno anche degli special guest. Rappresenta un continuo dell’evoluzione già iniziata con Breeze of Memories. Riguardo alla release invece non sappiamo ancora nulla.
Ho visto che avete suonato alcune canzoni in versione acustica, c’è la possibilità che incidiate un giorno un EP o un full-length completamente privo di strumenti elettrici?
In realtà al momento di acustico abbiamo solamente un video online di una cover dei Taake suonata da me e Stefano, ma ci piacerebbe molto poter adattare i brani per interi live in acustico (magari in versione strumentale e con più chitarre). Riguardo invece a futuro materiale inedito, per ora non ci abbiamo ancora pensato, ma non è assolutamente da escludere!
Ascoltando le parti più atmosferiche e intime tra cd e live, mi sono venute in mente alcune cose degli Empyrium: sono un vostro ascolto e cosa ne pensi?
Davvero? È la prima volta che qualcuno ci accosta agli Empyrium, ed effettivamente mi stupisce che tu sia il primo, vista l’attitudine simile. Ho apprezzato soprattutto i primi due album (purtroppo non conosco tutto), li reputo in qualche modo precursori di quel “dark metal” influenzato dal folk malinconico che poi ha trovato riscontro negli Agalloch, mia band preferita di sempre. Ad ogni modo è tanto che non sento i loro dischi, mi hai fatto venire voglia di rispolverarli! Si tratta comunque di un nome che tutti noi conosciamo e apprezziamo.
Come ti sei avvicinato alla musica e al basso? Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Mi sono avvicinato allo strumento quasi per gioco, per avere un interesse in più da condividere con Stefano (che conosco dall’infanzia) che suonava già la chitarra. Ho scelto il basso senza alcuna ragione particolare. Riguardo alle ispirazioni ce ne sono diverse, innanzitutto il cinema (tra i vari autori che apprezzo cito brevemente Kim Ki-Duk, Lars Von Trier, David Lynch e Takeshi Kitano), ma anche la natura e in alcuni casi la letteratura. Sono ispirazioni che bene o male condividiamo tutti, anche se ognuno ha le preferenze: per esempio Jacopo è anche un appassionato di anime e manga, Stefano è affascinato dalla pittura e certa letteratura, mentre Valerio della filosofia.
Grazie Rodolfo per la disponibilità, a te lo spazio conclusivo.
Grazie mille a te Fabrizio, per averci dedicato questo spazio e per le domande.
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