Huldre: la creatura torna nella foresta

2009-2019. La carriera dei danesi Huldre è durata esattamente dieci anni, il tempo di incidere due dischi, suonare in alcuni festival europei, ringraziare i fan e salutare tutti per tornare alla vita di tutti i giorni.

Il nome è preso dalla figura della Hulder (Huldra), una creatura del bosco di sesso femminile e di aspetto bellissimo, con una coda di vacca nella tradizione norvegese. Lo studioso e autore Luca Taglianetti che ha curato la traduzione del libro “Theodor Kittelsen. Troll”, definisce la huldar “la “fata” silvestre delle leggende norvegesi […], come da tradizione, ha in mano un lavoro a maglia ed è vestita da ragazza della malga”. Adesca gli uomini, li porta nella foresta e giace con loro prima di ucciderli o portarli all’inferno, a seconda della storia, della tradizione e della nazione; le huldre sono difatti presenti anche in Svezia (con una coda di volpe anziché di vacca) e i racconti su questa creatura sono numerosi e diversi tra loro.

La storia inizia nel 2009 e l’anno successivo viene dato alle stampe il demo omonimo contenente cinque brani, registrato in casa a costo zero e distribuito gratuitamente ai concerti che la band tiene in Danimarca: fin dal primo ascolto è facile capire che gli Huldre possono realizzare un gran debutto. Due anni più tardi, difatti, arriva Intet Manneskebarn, lavoro che così definisco nel libro Folk Metal. Dalle origini al Ragnarök: “un disco qualitativamente impressionante, vario e ben congeniato, in grado di emozionare e far fare headbanging al tempo stesso”. A mio parere si tratta del debutto dell’anno e sicuramente una delle migliori uscite del 2012: quando si dice che nell’underground ci sono perle di sincera bellezza, da conoscere e supportare invece di comprare l’ennesimo cd della band già affermata che realizza album per doveri contrattuali! Sotto la supervisione di Lasse Lammert (Alestorm, Warrel Wane, Svartsot, Wind Rose) prende forma un folk metal sì influenzato da Otyg, Lumsk e Storm, ma anche ricco di spunti personali che rendono il sound subito riconoscibile. Il secondo full-length giunge a fine 2016 sotto la Gateway Music, sempre con Lammert a dirigere il lavoro in studio. La formula non cambia molto rispetto al debutto, ma le piccole novità del sound riescono a far suonare Tusmørke fresco e diverso da tutto il resto presente sul mercato. La voce di Nanna Barslev è versatile e fortunatamente lontana dal cliché che vuole la voce femminile lirica e un po’ lamentosa a farla da padrone. Con una vocalist del genere e con una sezione folk (violino, flauto, ghironda e bombarda) composta da due musicisti sempre ispirati è difficile mancare il bersaglio, tanto più che tutti gli altri strumenti portano i mattoni necessari per alzare quel wall of sound che con gli Huldre ha ragione di esistere. Miglior canzone del lotto è forse Hindeham, ma non è semplice scegliere (QUI potete leggere l’intervista con la band fatta lo scorso anno). Nonostante due ottimi dischi il gruppo non riscuote il successo che meriterebbe e, pur non mancando occasioni live e festival internazionali, la sensazione che si ha è che tutto questo abbia forse fiaccato i sei musicisti. In data 16 gennaio 2019 sul profilo Facebook degli Huldre appare il comunicato dal titolo “The Huldre returns to the forest”, senza aggiungere notizie o dettagli sul motivo dello scioglimento; prima di concludere la carriera, però, c’è tempo per una piccola serie di date che porta al farewell show, dove davanti a una sala concerti colma di gente, gli Huldre si congedano dalla scena folk metal e, come vuole la tradizione folkloristica, la pericolosa creatura che leggende e racconti hanno reso nota anche ai più piccini, se n’è tornata della foresta, esattamente da dove era arrivata.

Intet Manneskebarn e Tusmørke sono due lavori di grande spessore, ancora belli da ascoltare a distanza di diversi anni. La huldar, anche se non si mostra più in giro, è sempre lì, in agguato nella foresta che ascolta e attende, pronta ad agire.

Ph: Jacob Dinesen

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