La marcia degli Apocalypse, creatura musicale di Erymanthon, continua senza sosta. Non c’è stato tempo di pubblicare l’intervista che vi apprestate a leggere che il musicista torinese ha già annunciato la pubblicazione per maggio del terzo disco. E come avrete modo di leggere nelle righe qui sotto, non tarderà ad arrivare anche il quarto full-length. Ma è su Odes che oggi ci concentriamo, secondo lavoro che prosegue la via bathoriana apportando, però, interessanti novità alla scrittura degli Apocalypse. Erymanthon si lascia andare a ricordi e curiosità, rendendo in questa maniera la chiacchierata particolarmente interessante. Buona lettura!
Dal debutto a Odes è passato meno di un anno, di sicuro non stai con le mani in mano! Nel mezzo hai anche pubblicato il tuo tributo di sette canzoni To Hall Up High – In Memory Of Quorthon. Hai mai avuto la sensazione di “correre troppo”?
Oh no, no. Il fatto è semplicemente questo: quando ho un’idea in testa prendo la chitarra e mi metto a suonare, se viene fuori qualcosa di accettabile e mi sento ispirato, accendo la strumentazione ai Darkwoods Studios e registro. Non aspetto di completare un disco intero prima di entrare in studio. Anzi, gran parte della composizione è fatta proprio in studio. L’ultimo anno è stato parecchio produttivo, ho completato i due dischi rilasciati e ne ho imbastiti di nuovi, ho anche scritto o abbozzato del materiale che poi ho scartato, lavoro sempre su più progetti nello stesso periodo… Sai, quando sei ispirato non ti poni il problema, ti metti giù e scrivi registri, arrangi… Ogni tanto mi è capitato di pensare “Hey, non dovrei forse tenermi qualche disco di riserva per più avanti?”, però il materiale non faceva che accumularsi, e allora rilascio tutto pur cercando di dare un minimo di distanza temporale ai dischi. Il vantaggio è che mantieni viva l’attenzione, lo svantaggio è che il tempo che il pubblico ha per metabolizzare ogni album è più ristretto. Tenterò di mantenere una media di uno o due dischi all’anno, sperando di non beccarmi il blocco dell’artista, ah ah!
Tutte le tue release – escludo volontariamente le copie caserecce del debutto – sono unicamente in digitale. Credi forse che il cd fisico sia più un impiccio in caso piuttosto che un oggetto bello da avere e qualitativamente superiore per quanto riguarda la resa audio?
No, no, tutt’altro! Il problema è che stampare CD di alta qualità e adatti alla vendita, diversi dai CD-R che puoi farti in casa, è costoso, bisogna fare un glass master e nessuno te ne stamperà mai meno di 300… Per un progetto come Apocalypse è un investimento, prima di stampare 300 cd devo essere sicuro che il mio pubblico sia intenzionato a comprarli soprattutto oggi nell’era del digitale. Preferirei di gran lunga distribuire la mia musica in formato fisico, anche perché alcuni fan mi hanno contattato richiedendomi se fosse possibile acquistare delle copie, ma non posso prenderli in giro, voglio che se acquistano qualcosa e ci spendono i loro soldi si ritrovino tra le mani un prodotto di qualità, tant’è che le copie di Si Vis Pacem, Para Bellum erano in regalo. Stesso discorso vale per il merchandise. Non posso permettermi questo lusso se non sono sicuro di rientrare con le spese.
A tal proposito, vista anche la tua proposta musicale che si rivolge per lo più a un pubblico “maturo” e quindi legato alla musica su formato fisico, pensi di realizzare, magari col supporto di un’etichetta, delle stampe su cd dei tuoi lavori?
Certamente. Ero in contatto con un’etichetta per stampare Odes, ma ci eravamo prefissati un minimo di 1000 visualizzazioni su YouTube per stampare 300 copie in cd e forse 100 in vinile. Il disco ancora non le ha raggiunte, quindi non se ne è fatto niente, almeno finora. È triste che l’arte venga commercializzata così, ma purtroppo è come funzionano le cose, anche la musica è un business. Non che mi interessi il guadagno, io faccio la mia musica per passione e non per i numeri, sono più felice quando ricevo un messaggio da un ragazzo in Sudamerica o in Nord Europa o da qualunque altra parte che mi dice “tu sei il figlio di Quorthon” o “il Quorthon di Torino” o “le tue composizioni sono fenomenali”, infatti io rispondo sempre a tutti coloro che mi scrivono e supportano il progetto, o anche solo quando scrivo, registro e riascolto la mia musica piuttosto che quando leggo le ultime statistiche delle vendite su Bandcamp o degli stream su Spotify. Però non posso nemmeno buttare soldi al vento, né possono farlo le etichette, anche se mi piacerebbe molto avere delle copie fisiche dei miei lavori tra le mani, del resto prima che musicista sono anche io un fan dei gruppi che mi piacciono e preferisco le copie fisiche!
Passiamo a Odes: lo stile e l’intenzione sono chiare, ma in un paio di brani ho sentito anche qualcosa di personale e, almeno per come intendo io la musica, più interessante. Stai cercando di “maturare” sotto questo punto di vista?
Ho scritto la musica per Odes con l’intenzione di esprimere dolore, disperazione e rassegnazione dinanzi a un comune e inevitabile destino: la morte. Il disco tratta tutto questo tema ed è stato ispirato dalla scomparsa di Giulio Cesare Casella, mio nonno, al quale sono sempre stato molto legato, il 3 marzo 2019, del resto è stato a lui dedicato. Per esprimere tutto questo senso di lutto, ho deciso di incorporare influenze da tutta la musica che ritenevo più malinconica e dolorosa, l’atmosfera è cupa e “decadente” e non ho voluto fermarmi all’epicità tragica dei Bathory su dischi come Twilight Of The Gods. L’intro strumentale è un brano atmosferico e pseudo-ambient che scrissi nel gennaio 2017 per gli Apocalypse, prima di entrare a contatto con i Bathory, ma che alla fine non usai anche per via del disfacimento del gruppo. L’intro pseudo-Bachiana di The Ephemereal Life la improvvisai con una tastiera sul preset “Organo” la vigilia di Natale del 2018, mentrela melodia e il riff portante sono ripresi da un brano depressive blackmetal che registrai nel settembre 2017, senza intenzione di rilascio, ma per motivi e piacere personale, anche se lì era tutto in tremolo picking… versai nel calderone anche i Bathory di Twilight Of The Gods, Destroyer Of Worlds e in minima parte Blood On Ice e Under The Sign Of The Black Mark, i Draconian di Arcane Rain Fell, Bach, Chopin, un depressive black metal pseudo Burzum o Silencer, su Exegi Monumentumla musica è quasi rinascimentale alla Branduardi… È un disco cupo, tragico, maestoso, solenne e malinconico, sicuramente il migliore ad oggi pubblicato dagli Apocalypse. Ovviamente un musicista matura e si evolve naturalmente, ma quel che è certo è che la mia musica pur evolvendosi non sarà mai priva della vena Bathory, che ne sarà sempre un pilastro fondante. Del resto, io sto cercando di riportare Quorthon in vita, di continuare quello che ha iniziato, è quello che ho messo in chiaro fin dal mio debutto e il mio pubblico lo sa bene.
By The River è una delle canzoni che più mi ha sorpreso e devo dire che l’ho trovata molto toccante. Come nasce un brano come questo?
Ti ringrazio per queste parole, sono contento che il brano ti abbia fatto questo effetto e non sei il primo a dirmelo. Quando ero un bambino, ero solito andare con mio nonno presso un torrente a Rubiana, dove abbiamo una casa, e lì ci divertivamo gettando i sassi nel fiume. Questo brano ricorda con nostalgia il mio passato con lui, giunge fino al momento della sua morte e infine canto che quando sarà la mia ora, ci incontreremo di nuovo al torrente: “…And when my time has come / we will meet again By The River” sono i versi che chiudono la canzone. Anche se è simbolico, perché io non credo nell’aldilà… credo, un po’ come Epicuro, che quando sei morto, sei morto. Punto. Questo è un brano che avevo in mente di scrivere da tempo, perché mio nonno era malato, non riconosceva più le persone da due anni, non era autosufficiente, non era più lui. Questo brano è una commossa e sentita dedica a lui. Ho scritto il testo in meno di un’ora e la musica in mezz’ora. È una canzone che viene dal cuore. Curiosità: Woods Of Wistfulness, il brano che la precede, è ambientato nello stesso luogo, ovvero il bosco e il torrente che lo attraversa. L’atmosfera è completamente diversa: mentre in By The River siamo in una rigogliosa primavera, qui il sole è basso e lontano, i fiocchi di neve che cadono lenti sono le lacrime ghiacciate di un cielo scuro, la nebbia, in cui fluttuano e vagano ombre tristi e piangenti e un funereo silenzio avvolgono tutto, la brezza fredda sussurra attraverso gli alberi spogli e nell’acqua cristallina del torrente risplendono come fantasmi evanescenti ammantati di dolore e miseria le memorie un tempo gioiose del tempo passato. Vi è malinconia, smarrimento e nessuna speranza, nessun dio, niente.
Nella recensione del disco definisco The Ephemereal Life come una “bella prova di avvenuta maturità compositiva”. Penso che confezionare sedici minuti di canzone senza momenti deboli non sia facile e tu sei riuscito a mantenere l’attenzione alta per l’intera durata della canzone. Quanto hai lavorato sul pezzo per renderlo così buono?
Ti ringrazio molto per il tuo giudizio! È un brano su cui ho lavorato parecchi giorni e che, come ho scritto, incorpora influenze diverse sia dal mio passato che da altre band. C’è Bach, ci sono i Draconian, c’è il mio vecchio black metal, ci sono i Bathory, i Silencer, un’ode di Orazio recitata e beh, gli Apocalypse! Sicuramente è il brano più variegato sul disco, il più elaborato… Volevo fare anche io quello che Quorthon ha fatto su Twilight Of The Gods, mettermi alla prova con qualcosa di più lungo ed elaborato, e sono molto soddisfatto del risultato! Mentre scrivevo, non pensavo in particolare alla durata, quanto al cercare di creare qualcosa di diverso, più arrangiato e interessante, lasciavo che la musica si prendesse lo spazio e il tempo necessari per il suo pieno sviluppo e alla fine mi sono ritrovato con un brano di sedici minuti e mezzo! In realtà è un brano che amo e odio allo stesso momento. La musica mi piace tantissimo, soprattutto l’intro e l’intermezzo doom con l’assolo di chitarra, che esprime esattamente le emozioni che volevo, e richiama Pestilence dei Bathory. La voce è uno scream esasperato, volevo che sembrasse un misto tra un pianto e un grido disperato. Il testo è straziante, pessimista, nichilista, decadente e spazza via ogni speranza. Sai, quando vedi un tuo caro a cui sei affezionato che giace freddo, bianco, smagrito, con la bocca spalancata e il volto contratto in una smorfia di agonia, nella sua bara, disposta in un salotto dove con lui tanti anni fa mangiavi e scartavi i regali a Natale o guardavi la tv, è un’esperienza che ti segna. Nell’intermezzo sopra citato canto “White and cold as ice in your casket you laid / The pure essence of pain distorted your face / Your mouth open wide since you exhaled your last breath / Drowning in mourn, I could just say farewell“. Il dolore e la disperazione, e la solennità tragica di questo destino comune fluiscono da ogni nota e ogni parola. Éun brano così doloroso, sono riuscito nel mio intento a tal punto che spesso fa star male pure me a riascoltarlo, così come tutto il disco. Ma resta un lavoro di cui sono fierissimo e che mi soddisfa molto.
In due composizioni c’è spazio per il poeta Orazio. Da dove nasce questa tua idea e interesse per la poesia latina? Come ti sei trovato a cantare in latino?
Beh, sono sempre stato affascinato dai Romani. Sono probabilmente quanto di più glorioso la storia dell’Italia abbia mai passato, sono parte del nostro orgoglio, della nostra storia, delle nostre radici e della nostra identità. Del resto, già il primo album presentava forti richiami al periodo romano fin dal titolo. Ho pensato che avesse senso riprendere qualcosa dalla mia storia, la storia della mia terra, come Quorthon aveva fatto con i vichinghi: bisogna essere orgogliosi della propria identità, soprattutto chi ostenta un passato glorioso come il nostro. E questa è una ragione. Studiando il poeta Orazio a scuola mi ero imbattuto in queste due odi, che secondo me erano adatte all’atmosfera del disco, e ho deciso di impiegarle nella mia musica. Quella recitata in The Ephemereal Life parla appunto della fuga del tempo e della fragilità della nostra vita, del fatto che tutti, re o schiavi, sono destinati alla morte. Exegi Monumentum invece è un’autocelebrazione, il poeta ci dice che con la sua opera ha eretto un monumento più durevole del bronzo, più imponente della mole delle piramidi, e che non tutto di lui morirà, ma che la sua gloria si manterrà in chi rimarrà in vita. Oltre ad “alzare il livello culturale” del disco, facendolo almeno in minima parte un mezzo di diffusione anche dell’arte antica, cosa che non fa male, è un po’ quello che succede a chiunque con i propri cari, ho pensato. E sempre per snocciolare nomi “colti”, è un po’ quello che Foscolo scrive in Dei Sepolcri. Le tombe, così come qualunque forma d’arte, hanno una sorta di funzione eternatrice. Non a caso ho deciso di scattare le foto per l’album al Cimitero Monumentale di Torino, molte sul mausoleo del grande tenore torinese Francesco Tamagno: una tomba è innanzitutto un monumento e un’opera d’arte. E poi, era in tema con il disco. Chissà, magari quando non ci sarò più qualcuno si ascolterà i miei dischi e si ricorderà di questo rocker torinese, ah ah!
Continuando a parlare di influenze esterne, in Funeral March ti rifai a Chopin. Vuoi raccontarci qualcosa su questa idea?
Con piacere! Partiamo dal fatto che apprezzo molto la musica classica, soprattutto quella più solenne, tragica o malinconica, in particolare Bach, Vivaldi, Beethoven, Chopin, anche se non posso dirmi un esperto: conosco qualche titolo dei miei brani preferiti come la Toccata e Fuga, il terzo movimento dell’Estate, la Sonata al Chiaro di Luna o appunto la Marcia Funebre, di qualcuno ricordo solo la melodia… Ogni tanto vado ai concerti o all’opera, ma appunto, non sono un esperto, anche se per un periodo mi era balenata l’idea di studiare in conservatorio. Però sono troppo indisciplinato per questo, ah ah! Tornando alla domanda, su Call From The Grave Quorthon richiamava la Marcia Funebre nell’assolo di chitarra, che io in effetti riprendo alla fine del brano. Ho pensato di fare un tributo a Bathory, ispirandomi a Day Of Wrath e Call From The Grave, e anche a Chopin, basando la struttura di tutto il brano sugli accordi del primo e terzo movimento della Marcia Funebre, ma c’è anche un richiamo all’organo Bachiano, ripreso con la chitarra, nell’intermezzo cantato prima del solo finale, dove tra l’altro sperimento con una nuova vocalità più raschiata. Era un bel modo per chiudere il disco, pensavo, l’atmosfera era giusta, il tema anche. L’idea si è inizialmente affiancata a quella di musicare Ode To The West Wind di P.B. Shelley, che già prevedevo come brano di chiusura e in questo caso sarebbe stato parte della doppietta finale, ma poi è finita per sostituirla. Ero più ispirato, mentre per Ode To The West Wind avevo iniziato a scrivere e registrare ma non ero altrettanto “preso”, e il disco era già lungo a sufficienza, così ho registrato soltanto Funeral March.
Pensi che un giorno gli Apocalypse possano avere una line-up anche solo per i concerti, fermo restando che in studio si tratta di una one man band?
No, non credo, anche se qualcuno sarebbe contento di vederci dal vivo. Ma una musica come questa è complicata da riproporre in concerto, non è adatta ai piccoli locali underground dove la gente vuole sbronzarsi e pogare. Suono dal vivo con un altro gruppo, ma facciamo roba totalmente diversa! La mia musica è una riflessione, un messaggio, una comunicazione tra Apocalypse e il pubblico. Voglio che il mio pubblico si sieda, si rilassi e si concentri sulle sensazioni e sulle immagini che il disco evoca. E poi con Apocalypse io voglio che sia tutto fatto a modo mio, ciò non è possibile con un gruppo di persone. Credo che resteremo una one-man band.
Il 2020 degli Apocalypse? Stai lavorando a un nuovo disco o ti stai dedicando ad altro?
Sì, il nuovo album è pronto e credo uscirà per aprile o maggio. È un po’ uno strappo alla regola, nel senso che sarà qualcosa di davvero veloce e brutale, lontanissimo dal suono di tutto quello che ho fatto finora. Velocità e brutalità senza compromessi, un disco death metal, diciamo. Spero che il mio pubblico non decida di linciarmi per questo ah ah! È un progetto che avevo in mente da tempo, che ho fatto per divertirmi, che di fatto ho iniziato a registrare a gennaio scorso, prima di Odes, che ho portato avanti in parallelo (lavoravo a fasi alterne, in base a cosa mi sentivo di fare in quel momento o giorno), che fino a marzo scorso intendevo pubblicare a fine 2019 e che pensavo di aver concluso a luglio, assieme a Odes. In realtà mentre il tempo passava mi sono sentito nuovamente ispirato e ho voluto aggiungere due brani, che ho registrato tra gennaio e febbraio. Sto anche lavorando al disco successivo, che invece sarà di nuovo sul filone epico, ma è ancora tutto in alto mare, non ho le idee molto chiare ad essere sincero. Ho anche registrato qualche altra cover dei Bathory (oltre a Vinterblot che è uscita a dicembre, per ricordare le tradizioni pagane antiche europee precedenti al Natale cristiano), in particolare Call From The Grave, Bleeding e Death From Above. Non sono sicuro se rilasciarle o meno, le ho incise per divertirmi, ma sul mio tributo alcuni hanno sentito la mancanza di brani del periodo black e death. Potrei registrare qualcos’altro di quell’epoca e fare una sorta di “capitolo 2”, ma fosse per me potrei anche registrare tutta la loro discografia, quindi non so se sia sensato ah ah! Vedremo. Mi sto dedicando molto anche alla mia vita privata, inoltre sto studiando e a livello personale sto affrontando letture filosofiche, Nietzsche in particolare, e mi piace appuntarmi pensieri o riflessioni personali ogni tanto. Recentemente ho ripreso anche a disegnare, cosa che ho fatto per tantissimi anni ma che avevo lasciato da parte per molto tempo.
Domanda secca: cosa stai ascoltando in questi giorni?
Bathory, prevalentemente. Ma anche Kormak, (((AF))) o ogni tanto qualche ascolto di brani vari da diversi gruppi, inclusa The Unquiet Grave dei Claymore. Mentre rispondevo alle tue domande però, mi sono ascoltato le opere organistiche di Bach, il terzo movimento dell’Estate di Vivaldi, qualcosa da Odes e qualche premix dal nuovo album.
Siamo al termine della chiacchierata. Vuoi aggiungere qualcosa e salutare i lettori?
Intanto grazie per questa intervista e per la recensione! Sono felice di essere di nuovo sulle pagine di Mister Folk! Ragazzi, grazie per il vostro supporto e per aver letto questa intervista! Tenete a cuore il Metal e la musica che vi piace, e supportatela! E, per chiudere “alla Quorthon”, Hail the Hordes!
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