Uno dei dischi più riusciti di questo 2021 è il nuovo lavoro Il Culto Del Fuoco dei romani Dyrnwyn. Quando lo ascoltai in rough mix un anno fa al Time Collapse Recording Studio capii immediatamente le potenzialità di un lavoro curato nei minimi dettagli e non stupisce la firma per un’etichetta di qualità come la Cult Of Parthenope. Questa chiacchierata che state per leggere è avvenuta nella stessa giornata dello studio report, mi è sembrato quindi opportuno aggiornarla con qualche domanda extra che trovate a fine articolo: sono domande fatte di recente, utili per colmare il lasso di tempo (un anno) trascorso tra la chiacchierata face to face e la pubblicazione del disco e di questo articolo.
Sono intervenuti il chitarrista Alessandro Mancini (A), il bassista Ivan Cenerini (I), il chitarrista Alberto Marinucci (AM) e il produttore Riccardo Studer (R).
Iniziamo dalle domande più classiche, ovvero come siete arrivati a questo album e la scelta del titolo.
A: Il titolo è Il Culto Del Fuoco e lo abbiamo deciso quando stavamo scegliendo gli argomenti da trattare nel disco. Abbiamo scoperto e studiato questo culto che è uno dei più arcaici della storia di Roma, il culto di Vesta nel quale il fuoco era molto importante e veniva chiamato proprio “Il Culto Del Fuoco”. Il disco si concentra sempre sulla Roma delle origini, se così si può dire, quindi stiamo parlando dei suoi quattrocento anni e anche meno, con antiche divinità e alcune battaglie cruciali come Sentinum e i fatti delle Forche Caudine. Ci sono otto pezzi per un totale di una cinquantina di minuti. Tornando indietro, dopo il primo disco Sic Transit Gloria Mundi ci siamo presi una bella pausa dopo aver suonato più che potevamo, compresi alcuni festival europei, e all’improvviso ho composto Vae Victis. Avevamo voglia di creare qualcosa di nuovo, abbiamo lavorato con continuità e man mano che uscivano gli argomenti da libri e documenti nascevano le canzoni. Solitamente partiamo dal testo, dall’argomento trattato e a seconda di quel che si parla facciamo suonare quel determinato intro e in base all’idea che ci si fa dell’atmosfera si lavora sui riff e melodie, ma sempre in funzione di quella che è un’immagine che abbiamo in testa.
Nel folk metal la chitarra non è lo strumento principale come accade negli altri generi, ma insieme agli altri strumenti fa la canzone; ma in questo genere è difficile ricordare un buon riff di chitarra (Roi, Gode, Roi degli Arkona ha un gran riff, ma è un esempio che ha pochi compagni). Su questo disco devo dire che la chitarra sale di livello per quello che fa e per come lo fa, suona con maggiore convinzione…
A: A volte basta aggiungere degli accordi aperti sotto le melodie per far suonare bene una parte, ma un po’ per dare maggiore dignità alla chitarra e anche per enfatizzare una determinata sezione della canzone, ho cercato di lavorare diversamente e di tenere alta la tensione, magari chi ascolta non si aspetta quel pezzo di riff in più o quella battuta con quel 2/4 di stacco che magari non era necessario, però riesce a dare quel qualcosa in più. Magari non la prima, e forse neanche alla seconda, ma alla terza volta che si ascolta dici “adesso arriva quella parte lì” e in questo modo la canzone non si consuma al primo ascolto. Al primo ascolto ci sono delle cose che ti devono catturare, ma poi ci sono dettagli o melodie che al terzo ascolto te ne accorgi e inizi ad apprezzare.
Le canzoni sono nate nel periodo del primo lockdown o già avevate fatto qualcosa prima?
A: le canzoni sono nate da settembre 2019 a febbraio 2020, è stato un lavoro costante e abbiamo trovato un modo che per noi funziona. Io so di essere quello più proficuo e di avere esperienza con i software e quindi riesco a creare la forma canzone; poi c’è una persona che si occupa di cercare il cuore di quello che trattiamo che è Ivan Cenerini, lui legge e studia libri e libri della Roma Repubblicana.
La registrazione è slittata per i noti problemi o era questo il periodo che avevate scelto?
A: avevamo prenotato un po’ prima ed è slittata di poco grazie a Riccardo che ha fatto i salti mortali per aiutarci.
R: ho fatto i salti mortali per rifare il calendario, la situazione dello studio era tragica per gli incastri da fare. Ho preso un nuovo posto e lo sto ristrutturando, è in zona Flaminio. Cinque stanze, potrò registrare anche la batteria. I gruppi ci sono, il lavoro non manca…
E la mano c’è…
R: questo lo dici tu…
Senza mano i gruppi non verrebbero da te…
R: se c’è continuità vuol dire, forse, che c’è la mano, ma preferisco sempre che siano gli altri a dirlo.
Come ti trovi a lavorare con i Dyrnwyn?
R: con loro mi trovo bene, c’è anche un fattore musicale perché come per il disco precedente ho messo mano alle orchestrazioni: su Sic Transit Gloria Mundi avevo fatto tutto io, per Il Culto Del Fuoco Alessandro ha portato invece una buona base sulla quale lavorare. Tendo a mettere tante cose e con loro mi devo limitare perché altrimenti si rischierebbe di perdere la matrice folk; come hai detto tu rispetto al disco precedente ci sono parti di batteria più tirate, riff più potenti, se poi si lavora troppo sulle orchestrazioni spinte si rischia di avere i Septicflesh, una tipologia di metal che a me piace ma non è quello della band. Un punto di forza di un gruppo è la personalità e si deve lavorare su questo. Infine quando si lavora a un disco conta tanto anche il fattore umano e con loro mi trovo davvero molto bene.
Hanno una loro personalità secondo te?
R: sì, non gli voglio fare i complimenti sennò si gasano (risate, nda).
Il grande passo che avete fatto è proprio sulla personalità: sul primo disco c’erano delle parti dove si poteva dire “qui sembrano i Draugr” e così via. Ora il disco suona fresco, avete trovato un’identità che già c’era ma ora è stata sviluppata ulteriormente. Forse perché la line-up è la stessa da un po’?
R: avere gli stessi musicisti per anni porta tanti vantaggi, anche quella confidenza di dire “guarda, qui forse non va bene”, ma anche l’esperienza che ti porta a lavorare su certi dettagli e perdere meno tempo su cose che hanno poca importanza.
A: basta non essere permalosi: se tu mi dici che una parte non va bene io devo essere in grado di pensare che so farne una meglio e no che questa è l’unica che va bene. Se si lavora così poi la band si scioglie, se nessuno cede.
Passiamo ai testi: Ivan hai campo libero.
I: l’idea è sempre stata quella di parlare di argomenti poco trattati di Roma. La Roma senza influenze greche, senza cristianesimo. Cerchiamo storie arcaiche tratte dai libri di archeologi e storici, da lì tiro fuori i testi che magari non sono musicali ma lavorando insieme al cantante riusciamo a farli funzionare.
T: quest’anno abbiamo scritto insieme e a più riprese abbiamo ripreso i testi modificandoli.
Thierry, mi sembra che ti trovi a tuo agio con i Dyrnwyn e in questo disco sei riuscito ad esprimerti al 100%. Hai portato qualcosa di diverso per quel che riguarda la voce, rendendo il tutto meno prevedibile e ascoltandoti ho l’impressione che ti piace molto cantare con loro.
T: effettivamente è così, è cambiato un po’ l’approccio che abbiamo tra di noi e di conseguenza qualcosa di nuovo è venuto fuori. Un po’ perché passando più tempo insieme aumenta la confidenza, un po’ perché abbiamo fatto dei passi in avanti. Abbiamo imparato gli uni dagli altri e io da loro ho preso a piene mani quando c’erano delle cose tecniche che non conoscevo. Ho smesso di fumare e la voce reagiva in maniera diversa e ho cercato di mettere tutte queste cose nel nuovo disco.
Il cantante è spesso l’emblema del gruppo mentre tu sei molto taciturno, un po’ in disparte. Di te non so nulla, quindi ti chiedo come sei entrato in contatto con i Dyrnwyn e qual è il tuo background musicale.
T: non sono una persona molto in vista nell’ambiente. Nasco come chitarrista ma dopo un problema alla mano ho iniziato a cantare con dei generi che loro detestano (risate e commenti vari, ndMF) come postharcore e il metalcore. Quando ci siamo conosciti cantavo in una band industrial/new metal grazie a un amico che ha parlato di me ad Alessandro quando cercavano un nuovo frontman: ci siamo sentiti, abbiamo fatto le prime prove e poi siamo andati avanti insieme.
Questo genere lo conoscevi già o è stata una scoperta?
T: è stata una grande scoperta perché conoscevo marginalmente il folk metal e il black metal… poi Grima tutta la vita (gruppo atmospheric black metal dalla Russia, ndMF)! Questa musica per me è completamente nuova a livello di sonorità, di tecnica e anche di concezione, quindi è stata una scoperta che mi ha coinvolto man mano sempre di più.
Nel vostro sound il flauto traverso riveste un ruolo non principale ma comunque importante. Qual è la situazione con Jenifer?
AM: anche lei è mooolto estranea al genere, quindi ha fatto l’esperienza con noi in maniera esplorativa/vacanziera che l’ha divertita e ha fatto anche piacere a noi conoscere una brava strumentista che sa quel che sta facendo, e abbiamo instaurato un’amicizia. Magari non aveva voglia di investire il suo tempo in un progetto che la divertiva ma non la coinvolgeva così tanto emotivamente. Ci diamo una mano, lei con noi si diverte e quindi le abbiamo chiesto se voleva incidere anche questo disco e ci ha detto di sì.
Alberto, visto che parli poco lo chiedo a te: qual è la tua canzone preferita?
AM: la mia preferita è Leucesie. Mi ha sempre coinvolto, la sento più unica, forse perché è diversa dalle altre. Anche per come entrano le orchestrazioni, come si accompagnano alla parte strumentale.
Avete mai pensato di ri-registrare i vecchi pezzi con l’attuale formazione?
I: è molto un fatto di produzione. Si farà, ma non sappiamo quando.
A: è nel garage, sul tavolo degli attrezzi in attesa. Di Ad Memoriam ci sono due pezzi che ancora oggi io ascolto nonostante le ingenuità dell’epoca, e sono Tubilustrium e Teutoburgo. C’è una di queste due che vorremmo rivedere sia a livello orchestrale che musicale, oltre alla nuova voce, che ora con un po’ di esperienza in più ci piacerebbe rendergli giustizia. Purtroppo la situazione mondiale non ci ha permesso di farlo perché l’idea era di mettere uno dei due pezzi che ti ho detto prima come bonus track, solo che quando è scoppiata la pandemia era proprio il momento in cui volevamo lavorare su questa cosa e non c’è invece stato il modo di farlo.
Cambiamo discorso: vi sentite parte di una scena italiana/romana?
I: scena italiana sì!
A: sicuramente esiste una scena italiana che ha anche elementi validi. Il punto è cosa uno pensa che sia il folk metal. Io credo, e parlo anche per loro, che il folk metal nasce per recuperare, riscoprire e parlare a terzi di radici proprie. Basandomi su questa descrizione io poi valuto anche i gruppi che ascolto, oltre che ovviamente la musica. Non è che se un gruppo mi parla di folletti e cavalieri magici allora non lo ascolto: magari la musica mi piace, però non lo considererò quel folk metal che mi piace perché gli manca il contenuto che io credo che debba essere una delle parti principali del folk metal. Detto questo, un gruppo che mi viene in mente sono i Kanseil, loro hanno un rapporto molto stretto con la propria terra, nelle canzoni parlano di cose che i loro compaesani hanno vissuto decenni fa e non nel lontano passato. Pensando a loro dico che sì, effettivamente l’Italia ha una storia molto ricca, non solo cristiana e non solo etrusca, romana ecc, ma anche più recente piemontese, siciliana e così via che merita di essere raccontata e conosciuta, che mi porta a dire che la scena italiana c’è e le cose che dice sono valide come quelle norrene, spagnole, greche e asiatiche. L’appartenenza a una scena italiana e romana sì di nome, meno a livello organizzativo. Penso che con maggiore comunicazione e una voglia di creare qualcosa di vero, si potrebbe creare un circuito per beneficiarne tutti. Fare una cosa del genere su una scala nazionale con band che a volte vogliono avere a che fare con te e a volte non vogliono avere a che fare con te… è difficile… Roma… io non…
Se vi ricordate un anno fa (ovvero nel 2019, ndMF) io avevo proposto una cosa solo romana con i quattro gruppi della zona che siete voi e i Blodiga Skald di Roma, gli Stilema di Ladispoli e gli Under Siege di Palestrina… poi non vedi interesse in una cosa dove solo i gruppi hanno da guadagnarci e lasci perdere.
M: Roma va molto con le mode, non solo i gruppi ma anche il pubblico. Fai il Mister Folk Festival con l’headliner figo la gente ti ci viene, fai un festival con solo i gruppi laziali la risposta del pubblico sarebbe scarsa. Poi le band secondo me non hanno tutta sta voglia di fare…
A: tutta questa fratellanza che si professa in realtà non c’è, non è così e chi ti dice così mente.
I: ci sono gruppi con i quali si collabora e si sta bene, vedi con gli Atavicus.
Volete aggiungere qualcosa alla fine di questa chiacchierata?
I: sarebbe bello che una volta ascoltato il disco la persona andasse a cercare quei riferimenti dei testi, alla scoperta di Roma.
A: oppure contattate direttamente Ivan, il nostro Cicerone!!!
DOMANDE EXTRA FATTE l’1/9/2021:
Riccardo, in questi giorni hai salutato il vecchio studio per trasferirti nel nuovo: ce ne vuoi parlare?
Proprio in questi giorni ho traslocato dal mio vecchio studio (o meglio chiamarlo BOX) dopo undici anni. Sono molto felice di essere finalmente riuscito a completare la costruzione dello studio nuovo e chiudere questo progetto iniziato da più di due anni e mezzo, con la pandemia che ha cambiato le carte in tavola e rallentato il tutto. Sono molto legato a quel box adibito a project Studio e ci ho passato veramente tantissimo tempo, salvo un periodo di due anni in cui ho lavorato all’interno dell’Overload Studio a Garbatella, il quale mi ha permesso di registrare batterie, fare reamping e crescere come produttore. Negli anni successivi, ritornato al box, ho invece stretto collaborazioni con altri colleghi e professionisti per completare gli aspetti che nel project studio non potevano essere realizzati (ad esempio quella con Giuseppe Orlando degli OuterSound per le batterie) avendo una stanza sola e garantendo comunque alle band una produzione completa. Ho molti progetti da realizzare nel nuovo spazio, che si dispone su cinque sale ed un area relax comune, fra cui quello di creare una rosa di musicisti con cui collaborare per la parte autorale e di arrangiamento del Time Collapse, ed anche quello di formare una piccola orchestra di strumentisti fidati e metterla a servizio delle band alle quali faccio da orchestratore, per le produzioni di musica cinematografica e metterla anche a servizio di compositori esterni che hanno bisogno di far suonare reali gli strumenti solisti o intere sezioni d’orchestra. Speriamo di riuscirci 🙂
DYRNWYN:
Dopo l’esperienza con la Soundage Productions siete passati alla Cult Of Parthenope. Come sono andate le cose con l’etichetta russa e come vi state trovando con la label italo-inglese? Come siete giunti all’accordo con loro?
Con la Soundage il rapporto è stato fin da subito molto chiaro e tranquillo , senza fare una grossa spesa non pretendevamo chissà cosa e ci andava bene così essendo anche il primo full-length della band uscire con un’etichetta che ha comunque un suo nome nel genere ci ha fatto piacere. Per il secondo disco però volevamo qualcosa di più per visibilità e pubblicità, un aiuto più concreto che potesse permettere a Il Culto Del Fuoco di girare meglio ed essere ascoltato da più persone rispetto al precedente disco. La Cult Of Parthenope, oltre ad esserci consigliata da te, ci è stata caldamente raccomandata anche da Riccardo Studer, che produce anche il disco di Scuorn appunto, ed è stato facilissimo trovarci in accordo con Giulian fin da subito. Sicuramente c’è un lavoro maggiore e diverso rispetto alla vecchia etichetta e ci siamo trovati benissimo: oltre a darci tutto ciò che era stabilito sul contratto, Giulian è anche stato dispensatore di ottimi consigli per la band.
Il disco è uscito da qualche mese: ascoltandolo oggi come vi sentite?
L’unico rammarico che abbiamo è quello di non averlo potuto suonare fino ad ora, e speriamo di rimediare al più presto. L’effetto che ci fa il disco riascoltandolo è lo stesso da quando è uscito, lo riteniamo un ottimo lavoro, ancora ci crea le stesse emozioni di quando lo abbiamo composto e registrato. La produzione poi è stata anche migliorata rispetto al nostro primo lavoro, quindi siamo tutti molto più che soddisfatti.
Anche se il disco è fuori da poco immagino che stiate lavorando a qualcosa di nuovo…?
Immagini bene, non c’è ancora nulla di concreto ma diciamo che già sono stati fatti passi avanti sulle tematiche e sonorità del prossimo disco, non abbandoneremo il nostro sound e lo studio della Roma antica meno conosciuta. Sicuramente non ci piace oziare troppo, anche se il nuovo disco non abbiamo mai potuto suonarlo dal vivo e forse per alcuni potrà sembrare un azzardo già pensare ad un prossimo lavoro.
Nessun azzardo, sono felice assai che stiano già gettando le basi di un terzo full lenght 🙂