Mister Folk torna a intervistare gli Artaius (QUI trovate quella di due anni fa), ottima realtà italiana che con Torn Banners arriva al secondo full-length, un lavoro di gran qualità che non può certo passare inosservato. Ne ho parlato con il tastierista Giovanni Grandi, questa che segue è la nostra chiacchierata.
Per prima cosa vi faccio i complimenti perché il vostro nuovo disco è veramente bello, di non facile assimilazione, ma decisamente sopra la media rispetto a quel che propone il mercato in questo periodo. Vuoi raccontarci com’è nato Torn Banners?
Ciao, grazie mille per i compimenti e per la bella recensione. Torn Banners ha avuto una gestazione molto più breve e concentrata rispetto a The Fifth Season, che raccoglieva materiale prodotto in più di cinque anni di attività. Con questo nuovo disco, invece, abbiamo lavorato fin da subito con un obiettivo ben chiaro, ragionando con la prospettiva di un full-length avente caratteristiche precise: in altre parole, prima ancora di ragionare in termini di “pezzi” avevamo ben chiara la struttura generale del disco, così che al momento di lavorare alle varie tracce si sapeva già, più o meno, che “ruolo” avrebbero poi dovuto rivestire all’interno dell’album.
Nella recensione ho scritto che Torn Banners è più estremo, folk e progressivo di The Fifth Season, e nonostante ciò si riconosce immediatamente il suono Artaius… sei d’accordo?
Certamente e siamo molto felici che tu abbia notato questa cosa, perché hai utilizzato all’incirca le stesse parole che ci siamo detti noi quando abbiamo iniziato a lavorare al disco! Abbiamo voluto creare un album che estremizzasse tutte le caratteristiche di The Fifth Season e le raccogliesse in un insieme più organico, ed è una grande soddisfazione vedere che ciò è stato recepito.
Il disco ha delle sonorità “moderne”, soprattutto per via delle chitarre, che ben si fondono con le parti progressive, l’idea che mi sono fatto ascoltando il cd è che vi siate spinti al limite di tutto, ma senza strafare o esagerare…
Il lavoro sulle chitarre è stato uno dei più duri e forse quello che ha comportato il maggiore cambiamento rispetto a The Fifth Season, complice anche il cambio di chitarrista: abbiamo voluto renderle molto più presenti attraverso l’uso di un linguaggio ispirato al death metal melodico di stampo svedese. Sulla spinta al limite siamo ovviamente d’accordo, sul non strafare… non spetta a noi dirlo, ma siamo molto lieti che la pensi così!
Nel disco è presente una canzone cantata in italiano, Dualità: com’è venuta l’idea e pensate di aggiungere altri brani nella nostra lingua in futuro?
Anche nell’altro disco era presente una canzone in italiano ed è sicuramente una cosa che porteremo avanti in futuro: troviamo molto interessante esplorare le potenzialità metriche e ritmiche della nostra lingua in testi che non parlino solo di taverne e bisbocce. Per quanto riguarda la canzone in sé, possiamo dire che, al momento di scrivere il testo sulla tematica scelta, è venuto quasi da sé l’impiego dell’italiano e delle varie citazioni dantesche sparse nel testo.
Mi puoi fare una panoramica sui testi?
I testi sono un lavoro abbastanza corale e vengono scritti secondo le modalità più disparate. In linea di massima l’intervento dei cantanti è ovviamente il più rilevante, ma le idee e spesso anche le metriche sono scritte praticamente da tutta la band. Un testo può nascere assieme alla musica da parte di un unico autore, oppure da un’idea generica di un membro possono nascere il testo e la musica rispettivamente da altre due persone distinte. È curioso, tuttavia, notare che le tematiche, alla fine, siano tutte abbastanza affini, legate al tempo che scorre e alla caducità della vita.
Pictures Of Life e By Humans Claimed sono, in maniera diversa tra di loro, delle ballad. Da un gruppo “folk” (nota le virgolette) sicuramente non ci si aspetta questa scelta, l’unica cosa che c’è da dire è che sono due ottimi pezzi!
Ti ringraziamo ancora una volta per i complimenti! Diciamo che, delle due, quella nata proprio come “ballad” in senso stretto è ovviamente Pictures. By Humans Claimed, invece, è più che altro nata come parte conclusiva di By Gods Stolen, con un’atmosfera più sospesa. Un po’ di “folk” (sempre con le opportune virgolette!) abbiamo cercato come sempre di introdurlo, anche se la nostra priorità non è stata tanto quella di ricercare una sonorità “folk”, quanto più una sonorità “Artaius”, anche nelle ballad!
Perché dopo l’uscita di Mia Spattini (flauto e violino) avete deciso di registrare il disco con diversi musicisti ospiti? Tra l’altro in Daphne e in altre composizioni sono presenti parti di matrice celtica davvero belle…
Siamo contenti che ti siano piaciute le parti di Daphne: per la cronaca, i due incisi di flauto sono di fatto una citazione della Lady Ellen’s Reel, un brano tradizionale irlandese suonato, fra gli altri, dai leggendari Lúnasa. Per quanto riguarda gli ospiti, essi sono stati di fatto la scelta più ovvia: con Lucio Stefani avevamo già collaborato in The Fifth Season (suoi sono i violini di Wind Of Truth e Over The Edge), mentre per le sonorità di flauto (che in questo disco erano predominanti) non potevamo che rivolgerci a Dario Caradente, eccellente strumentista e nostro amico di vecchia data.
Al violino è presente anche Tim Charles, musicista degli australiani Ne Obliviscaris. Ho letto che ha partecipato in seguito al crowdfunding della sua band madre… come s’è svolta la cosa?
In pratica abbiamo appreso del crowdfunding per finanziare il loro tour mondiale proprio prima di entrare in studio: data l’ammirazione che tutti abbiamo per quella band, abbiamo deciso di contribuire alla loro causa concordando una feature con Tim, invece che acquistando vari pledge come cd o poster autografati!
Questione cantante: Francesco Leone ha fatto un grande lavoro in studio, fa parte della line-up?
Esatto, è il nostro cantante fisso dopo la dipartita di Andrea per impegni di lavoro. È sempre stato un nostro caro amico, abbiamo avuto occasione di “saggiarlo” durante il tour del 2014 (quando ha sostituito momentaneamente Andrea) e siamo pertanto contenti che abbia messo la sua esperienza al servizio degli Artaius.
L’audio di Torn Banners è veramente buono, vuoi raccontarci qualcosa sull’esperienza nello Studio 73 con Riccardo Pasini?
È stata veramente un’ottima esperienza: vedere il lavoro prendere forma esattamente come lo avevamo in testa, grazie alle sapienti mani (e orecchie) di Paso è stato davvero gratificante. Tutto si è svolto rapidamente e senza intoppi grazie ad un’intesa profonda che si è venuta a creare fin dalle prime take.
Con Torn Banners siete passati a Bakerteam Records, come vi trovate?
Ci troviamo bene, sono dei ragazzi in gamba e professionali.
Domanda d’obbligo sulla scena italiana: qual è il suo stato di salute?
Per quel che ci riguarda, si continua a suonare, e questo è già tanto! Ovviamente ci sono locali e platee dove si suona sempre alla grande e altri dove l’accoglienza è sempre così così, ma fra alti e bassi la situazione è comunque buona. Forse, se si smettesse di pensare in termini di “scena” e di confronti con l’estero, e si uscisse invece un po’ più di casa per andare a vedere i concerti, la situazione sarebbe molto più disinvolta!
Vi pesa essere considerati come una band folk metal o vorreste essere visti come qualcosa di “diverso”?
Non ci siamo mai posti il problema di essere considerati di un genere o di un altro: oggi c’è quasi una compulsione (spesso foraggiata dalle band stesse) a etichettare e catalogare i gruppi, e per questo abbiamo rinunciato a categorie improbabili come “progressive/folk/avantgarde/etc/metal” per un più sobrio “post metal” che vuol dire tutto e niente: siamo sempre stati dell’idea che la cosa più importante è ascoltare la musica, non classificarla.
Quali sono i prossimi passi della band?
Gli Artaius prendono atto delle proprie mosse solo quando le hanno già compiute! Non sappiamo assolutamente nulla di cosa potrà riservarci il futuro, intanto vogliamo concentrarci a promuovere bene Torn Banners. Dopo chissà… sicuramente cercheremo di sviluppare una nostra sonorità, ma altrettanto sicuramente prepareremo qualcosa di sensibilmente diverso da The Fifth Season e da Torn Banners.
Grazie per l’intervista, a te la chiusura.
Grazie a te per il tempo che ci hai concesso e ancora una volta per l’attenta analisi del disco! Un caro saluto alla redazione di Mister Folk e ai suoi lettori!
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