Lou Quinse – Lo Sabbat
2018 – full-length – Sliptrick Records
VOTO: 8,5 – recensore: Mr. Folk
Formazione: IX. L’ermite: voce – XIX. Lo Solelh: chitarra – XVIII. La Luna: basso – Lo Mat: batteria – I. Lo Bagat: organetto – VII. Lo Carreton: flauto, cornamusa
Tracklist: 1. Sus La Lana – 2. Chanter Boire Et Rire Rire – 3. Diu Fa’ Ma Maire Plora – 4. La Dancarem Pus – 5. Lo Cuer Dal Diaul – 6. Dessùs La Grava De Bordeu – 7. Giga Vitona – 8. Purvari E Palli – 9. Lo Boier – 10. La Martina – 11. La Marmòta – 12. Sem Montanhòls
Una delle formazioni più snobbate e sottovalutate del panorama italiano del folk metal è quella dei Lou Quinse, band piemontese che dal 2006 sputa folk e diavoli in varie salse. Il gruppo guidato da L’Ermite si autodefinisce “alpine extreme metal folkcore” e arriva al secondo disco dopo il debutto Rondeau De La Forca del 2010: rispetto al primo album Lo Sabbat è decisamente un lavoro più maturo e personale, molto è cambiato (e migliorato) in questi anni, fermo restando l’attitudine caciarona e sfrontata che da sempre li contraddistingue.
Il disco si presenta veramente bene: digipak bello colorato e con una copertina semplicemente spettacolare sono i primi passi per avere il gradimento del pubblico, e Lo Sabbat sotto questo punto di vista non ha veramente nulla da temere. I disegni e lo stile sono volutamente vicini a quelli del pittore ceco Alfons Mucha, i Lou Quinse hanno voluto osare qualcosa di diverso dal solito artwork folk metal e il risultato è davvero eccezionale. Con una grafica del genere è lecito aspettarsi un booklet da far strabuzzare gli occhi, e in parte è così: il libricino è esteticamente perfetto e i testi in lingua occitana, oltre a una breve presentazione, sono tradotti in inglese. Solo che nel cd il booklet non c’è, in quanto il file può essere visto e scaricato dal sito ufficiale dei della band, una scelta che danneggia non poco chi acquista il disco fisico.
Le cornamuse e le chitarre di Sus La Lana accolgono l’ascoltatore in un salotto musicale che con Chanter Boire Et Rire Rire (in un certo senso il singolo del disco) si rivela tutto tranne che accogliente. Il folk metal dei Lou Quinse è veloce e spietato, maledettamente orecchiabile anche quando i tempi si fanno spinti e la musica non da un attimo di tregua. Cori e accelerazioni brutali contrastano con la melodia che dal fondo s’innalza prepotente e in questo brano la vocazione al caos raggiunge picchi epici. Il ritmo è ancora sostenuto in Diu Fa’ Ma Maire (ovvero la descrizione della dura vita del pecoraro) e il tono continua ad essere serio ma beffardo, in linea con il testo. Con La Dancarem Pus le cose si fanno diverse, i Lou Quinse si muovono in un terreno meno pesante nella prima parte e tirano fuori una composizione più articolata del solito che mostra la crescita dei musicisti. Dopo la feroce Dessùs La Grava De Bordeu, Giga Vitona porta una ventata di puro cazzeggio in up-tempo che fa tanta allegria; interessante notare come, a un certo punto, spunti fuori una melodia che il fan del folk metal italiano conosce molto bene, in quanto è quella di La Caccia Morta dei Furor Gallico. In questo caso, come fu per Oakenshield e Storm con Earl Thorfinn e Oppi Fjellet, la melodia utilizzata nelle due canzoni è la stessa in quanto entrambi i brani traggono la propria ispirazione dalla medesima fonte popolare. Domenico Straface, brigante cosentino nel XIX secolo, è il protagonista di Purvari E Palli, pezzo che vede anche una parte cantata in calabrese e che non risparmia nulla in fatto di folk e voglia di ribellione. La seguente Lo Boier è una canzone dai significati simbolici legati all’eresia dei catari (movimento che nel XII e XIII secolo ebbe un discreto seguito in Linguadoca, Occitania, Italia ed est Europa prima della violenta soppressione per mano della Chiesa) utilizzando la storia della sfortunata pastorella Joana. Lo Sabbat arriva al terzo atto, “La Martina”: dopo uno strumentale dai toni malinconici le melodie allegre di La Marmòta (con le parole tratte del poeta/politico anticlericale Angelo Brofferio) suonano spensierate a differenza del testo carico di tensione. Un canto di montagna e liberazione porta a conclusione il disco: Sem Montanhòls è forse la migliore maniera per terminare i quarantasei minuti dell’album. Pezzo acustico e ritmato, sentito dai musicisti quanto dagli ascoltatori perché i Lou Quinse nel coinvolgere il pubblico sono bravissimi.
Il disco quindi cresce con gli ascolti e la seconda parte in particolare riesce a donare ogni volta delle piccole novità che rendono Lo Sabbat sempre fresco. Quasi tutte le canzoni del disco sono prese (sia testi che musica) dalla tradizione popolare locale e in seguito elaborate fino a farle suonare Lou Quinse al 100% senza però perdere quell’alone alpino che è fondamentale per il sound del gruppo.
Detta dell’alta qualità della musica, è giusto parlare anche dall’ottima produzione, all’altezza delle canzoni e che fa suonare tutto naturale e potente senza minare minimamente la credibilità del lavoro svolto dai musicisti. Gran parte del merito va riconosciuto a Tino Paratore, nome di culto nel punk/hardcore, che ha registrato e missato Lo Sabbat, con Tom Kvalsvoll (Trollfest, Kampar, Darkthrone, Windir ecc.) che ha curato il mastering al Kvalsonic Lab di Oslo.
Anni di silenzio possono distruggere un gruppo e sgretolare il seguito che negli anni si è meritato, ma nel caso dei Lou Quinse è stato utilissimo per lavorare con impegno a un disco come Lo Sabbat, lavoro che li deve per forza far uscire dall’indifferenza del sonnacchioso pubblico e lanciarli verso palchi ed eventi di caratura internazionale.
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