Intervista: Scuorn

Inutile girarci intorno, Scuorn è un progetto che ha fatto discutere non poco fin dalle prime cose uscite sul web: black metal napoletano in un mondo scandinavocentrico è un azzardo che se ben giocato ti porta al centro dell’attenzione. E così è successo con Parthenope, il debutto del 2017 che continua a girare nei lettori cd degli appassionati del genere. L’occasione di questa piacevole chiacchierata face to face con Giulian (QUI invece la precedente intervista telematica) è il release party al Traffic di Roma di Far degli Stormlord (QUI la loro intervista), dove in apertura suonavano i Dyrnwyn seguiti proprio dagli Scuorn. Sempre col sorriso e disponibile con tutti, Giulian ha risposto a questa intervista improvvisata poco prima di salire sul palco. Buona lettura!

Foto di Modern Tribe Photography.

Parthenope è arrivato all’improvviso e hai fatto un gran casino: la gente è rimasta a bocca aperta per questo black metal napoletano. La domanda è: come si fa a uscire dal nulla con un disco del genere, per di più un debutto, in grado di competere con tutti senza paura.

Prima cosa, dovendo parlare di Napoli e della cultura napoletana, fare un disco basato su Napoli significa avere gli occhi puntati addosso già in partenza, in un’accezione più negativa che positiva. Mettici anche che, essendo al disco di debutto, non avevo nessuna fretta di farlo uscire, ho provato più volte a registrare e ho pensato anche “faccio uscire prima un EP di quattro pezzi, invece di un disco di otto”. Scrivere per me è un momento di dolore, nel senso che è difficile scrivere arrivando a un livello che mi soddisfi. Magari in un giorno scrivo il 90% di una canzone, poi mi metto una settimana e dico “devo scrivere almeno un pezzo” e quella settimana non esce niente. Poi prendo la chitarra d’impulso e scrivo una canzone.

Quindi scrivi con la chitarra?

Di solito sì, Parthenope però è nato in maniera variegata. Alcuni pezzi sono nati da una melodia di una parte di orchestra, altri con la chitarra. Tornando però al discorso di prima, questo fatto di parlare di Napoli e fare black metal napoletano significava comunque fare casino, sempre poi a seconda di quello che sarei riuscito a fare. Nel rispetto della cultura napoletana, una cultura di gran prestigio (arte, musica, poesia, cinema e teatro), dovevo fare una cosa al massimo delle possibilità – non mie! – ma delle possibilità a disposizione al momento. Quanto ci vuole a scrivere un disco bello? Dieci anni? Io c’ho messo sette-otto anni a scrivere questo album.

Nella precedente intervista infatti abbiamo parlato del singolo acustico…

Esatto, registrato con le chitarre acustiche nel 2008, poi molti riff sono rimasti anche nella versione nuova. Ho deciso quindi di “o faccio tutto al massimo, altrimenti lascio perdere”. Mi sono ispirato a quelle che secondo me erano al momento le proposte più valide, quindi Septic Flesh, Fleshgod Apocalypse, Dimmu Borgir, Stormlord e altro, e volevo quello standard, sia a livello compositivo e arrangiamenti che di produzione. Ha comportato degli investimenti di tempo, soldi ed energie importantissimi, ho impiegato due anni a realizzare l’album, e alla fine ero molto soddisfatto. Riascoltato dopo due anni, ovviamente, come tutti gli artisti, trovo tutti i difetti e dico “sul prossimo questo lo devo sistemare, quello non mi piace, questo va fatto meglio”, ma comunque mi ha soddisfatto, forse più per la genuinità e l’essere riuscito a fare un disco di black metal napoletano coerente e inattaccabile, uno non può dire “è una barzelletta”.

Cosa cambieresti oggi di Parthenope?

La voce, perché non sapevo cantare! (ride, ndMF) Racconto questo aneddoto, forse non l’ho mai raccontato: entro il primo giorno in studio con Stefano Morabito, produttore che ha curato Parthenope, mi dice “bello il black metal napoletano, bella idea, dai iniziamo”. Entro in sala, “dai sei pronto?” “sì, iniziamo con la prima”, schiaccia play, parte la musica e io “aaaaahhhh” (tipo alitata! ndMF), proprio come te lo sto facendo adesso: un sospiro! (risate, ndMF) Stefano stoppa e mi fa “questo è il tuo scream?” “beh sì” “allora togliti le cuffie ed esci fuori”. Mi dice che c’è un problema, che non so cantare e non ho la tecnica per il canto estremo. “Per lo scream si usa questa tecnica, tu sai sospirando” e nell’arco di un’ora è riuscito a darmi delle istruzioni base per almeno riuscire a cantare: il primo giorno passa così, facendo esercizi per cercare almeno di registrare il disco. Fortunatamente riesco a fare una registrazione, ma il giorno dopo mi presento quasi senza voce, perché comunque utilizzavo una tecnica sbagliata basata tutta sulla gola. In quattro giorni riesco a registrare l’album, tutto senza tecnica e senza gola, la cosa che mi diceva Stefano era “dobbiamo registrare la voce, la tecnica è quella che è, ma cura molto l’interpretazione, esaspera la teatralità, come se fossi in una sceneggiata di Mario Merola, ma in positivo”. Questo ha compensato un po’ la mancanza di tecnica, soprattutto nelle parti recitate e dove non uso lo scream classico, e devo dire che quella parte mi piace molto, una voce acerba e senza tecnica ma piena di passione. Dopo 34 date in giro per l’Europa, due anni di studio e con una tecnica adeguata penso “cazzo che potevano essere quei pezzi con la voce e la tecnica di adesso” e da un lato dico “sticazzi, il prossimo sarà così”.

Quindi il prossimo disco avrà una cura e un’attenzione particolare sulla voce…

Sicuramente potrò variare sulle tecniche per avere un risultato più in linea con quelli che sono i canoni del genere senza perdere la spontaneità e la teatralità.

Nuovo disco in lavorazione, che cosa mi puoi dire?

Niente! Ahahah!

Top secret, stai componendo le canzoni…

Sì sto scrivendo i brani, spero di finire il processo compositivo entro la fine dell’anno ed entrare in studio nel 2020, si spera che per la fine dell’anno prossimo il disco possa vedere la luce. Poi dipende dalle tempistiche, Scuorn è una one-man band e devo fare tutto io, sono soggetto alla mia ispirazione, al mio tempo e alle mie performance, la parte orchestrale è poi ampliata da Riccardo Studer (tastierista degli Stormlord, ndMF). Si arriva poi alla parte dei testi che è quella che prende più tempo perché si basa sullo studio, sono più di due anni che compro libri sul periodo storico che andrò a trattare. Come sempre Scuorn andrà a trattare un determinato periodo storico che per Parthenope è stato quello greco-romano, nel secondo disco si proseguirà con la storia di Napoli.

Ti manca Napoli?

Sempre, mi manca soprattutto dopo averla lasciata. Ci vivevo e magari avevo voglia di andare via. Ho vissuto dieci anni nel nord Italia e avevo voglia di tornare a Napoli, poi sono stato otto anni e avevo il desiderio di muovermi, andare all’estero, oggi che vivo a Londra da cinque anni sento un legame viscerale con Napoli. Compenso con visite, studiare da lontano, mi incontro con la band…

Quanto è difficile essere una one-man band che ha base a Londra ma con musicisti che sono quasi tutti campani? Come fai a far combaciare gli impegni?

Ci vuole sempre una grossa organizzazione, soprattutto per quel che riguarda i tour. Ne abbiamo fatti diversi e siamo abbastanza consolidati nell’organizzazione, la fortuna di avere musicisti preparati che ormai sono dei membri live e magari registreranno qualcosa su disco come ospiti, mi facilita il tutto perché non c’è bisogno di provare (all’inizio ne abbiamo fatte alcune di prove) perché ognuno sa bene le sue parti e andando con il click non c’è margine di errore.

34 date live, molte delle quali all’estero: la soddisfazione di trovare un locale caldo e un’accoglienza particolare?

In UK è andata veramente molto bene e siamo arrivati fino in Scozia, in generale la risposta è sempre molto positiva. I luoghi comuni di Napoli sono associati all’Italia, quello che è napoletano all’estero viene percepito come italiano, il che ci facilita non poco. Curiamo tutto nei minimi dettagli, con professionalità: questa cosa viene percepita dai presenti e lo show ne guadagna, altrimenti non si riesce a ottenere risultati di un certo tipo. Ovviamente sono i primi tour all’estero ed è difficile andare in tour come band underground headliner con un solo disco alle spalle e ritagliarsi una fetta di pubblico. Sarebbe più facile andare in tour con una band più grande, investendo e suonando tutte le sere davanti a centinaia di persone, ma noi abbiamo scelto la strada più difficile, andare come headliner, a volte suoni davanti a cento persone, la data dopo davanti a dieci, ma dando sempre il massimo e sperando che poi questo ripaghi in futuro. Secondo me è importante perché ne guadagni molto come esperienza: impari a fare un soundcheck professionale, impari a creare uno show e a dare qualcosa in più della classica performance, cercando di intrattenere e di avere un contatto col pubblico. Ci fa piacere pure suonare tra i primi gruppi, al Black Winter Fest abbiamo suonato per secondi con i Marduk a fine serata, oggi suoniamo di supporto dei leggendari Stormlord, un gruppo che seguo fin da quando ero piccolo, mi ricordo la volta che comprai Rock Hard con un cd allegato e c’era il video di I Am Legend degli Stormlord e quel video mi ha avvicinato al black metal. Oggi suonarci insieme, condividere in un certo senso dei membri – David Folchitto ci ha accompagnato per alcune date, Riccardo è il nostro orchestratore – per me è una soddisfazione.

Tra poco si inizia a suonare e ti volevo chiedere una cosa che va fuori dal discorso musicale. La mia compagna è di Salerno, ho amici campani che fanno teatro all’estero e quindi a volte ne parliamo: Gomorra, a te da fastidio essere “ah italiano, Gomorra”, oppure c’è una percezione diversa?

La mia idea è che quella è la realtà, ma è una realtà parzializzata. La mafia è in tutte le città del mondo: c’è quella napoletana, la calabrese, la siciliana e quella locale, oltre alla cinese, russa ecc. Che quella napoletana a Napoli abbia una certa fama perché quasi idolatrata non mi piace, ma penso che l’obiettivo di Gomorra non sia questo, ma farla vedere per quella che è e lasciare allo spettatore una conclusione. Sicuramente la camorra non viene descritta nell’accezione positiva, quindi farla vedere anche all’estero, ti dirò, i produttori fanno vedere le parti belle di Napoli con il male che è la camorra, quindi fanno conoscere la città. Nessuno parla del servizio delle Iene sul Duomo di Milano dove tu non puoi camminare per via degli spacciatori che si lanciano le bottiglie o della mafia che c’è a Roma…

Esatto, su Romanzo Criminale fanno vedere un sacco di posti belli di Roma, pensi che la malavita fa schifo, ma intanto vedi anche degli scorci splendidi della città.

Ma nei film i russi sono tutti mafiosi, ma non è così. Il discorso di Napoli però funziona all’estero perché viene automaticamente associata all’Italia: pizza e mandolino! Vivendo all’estero ti dico che le cose famose d’Italia sono le cose famose di Napoli. Per la camorra purtroppo è così, è tutto vero, però basta evitare certe zone e tu stai tranquillo, ma è un discorso che vale per tutte le parti del mondo. L’errore è stigmatizzare Napoli dicendo che è solo quello, così come dire che Milano è solo immigrati che si prendono a bottigliate.

Ti lascio alla preparazione del concerto. Grazie per il tuo tempo e per la bella chiacchierata.

Grazie a te, sei sempre in prima linea per supportare i gruppi underground e grazie ai lettori del sito che hanno premiato Parthenope come miglior disco del 2017!

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