Kampfar – Ofidians Manifest
2019 – full-length – Indie Recordings
VOTO: 8,5 – recensore: Mr. Folk
Formazione: Dolk: voce – Ole Hartvigsen: chitarra – Jon Bakker: basso – Ask Ty: batteria
Tracklist: 1. Syndefall – 2. Ophidian – 3. Dominans – 4. Natt – 5. Eremitt – 6. Skamløs! – 7. Det Sorte
Una storia che va avanti da ben venticinque anni. Venticinque anni che in questo periodo “moderno” e tecnologico sembrano essere almeno il doppio. Quando i Kampfar si formarono nel lontano 1994, difficilmente avrebbero anche solo sperato di essere un quarto di secolo più tardi ancora in giro per il mondo a portare la propria musica sui palcoscenici più importanti dei festival e nei locali che hanno fatto la storia dell’heavy metal. Ma i Kampfar, in realtà, non solo continuano a pubblicare dischi di grande bellezza, ma sembrano aver intrapreso una via ben precisa che unisce la staticità stilistica di chi ha trovato la propria dimensione e la necessità di apportare ad ogni lavoro delle piccole novità per poter continuare a suonare grande musica. Il nuovo Ofidians Manifest, ottavo sigillo della splendida carriera di Dolk e soci, arriva a tre anni e mezzo dell’ispirato Profan e, come detto poche righe fa, non si discosta poi molto dal predecessore, pur presentando qualcosa di fresco e inedito (o quasi) all’interno delle canzoni. Probabilmente la carriera dei Kampfar si può dividere in due parti, ovvero prima e dopo Mare, lavoro del 2011 che ha fatto da spartiacque tra il vecchio pagan black e quello “nuovo”. Molto si deve alla produzione più pulita e “orecchiabile”, ma è anche vero che qualcosa è cambiato nella fase compositiva dei brani (per forza, verrebbe da dire: è cambiato il chitarrista con l’ingresso di Ole Hartvigsen al posto di Thomas Andreassen), con una maggiore attenzione verso il “classico” ritornello e la ricerca della melodia che prima non era così intensa.
Sette canzoni per quaranta minuti di musica: breve e diretto, senza riempitivi o cali di qualità, Ofidians Manifest è un signor album che prosegue il discorso stilistico dei precedenti lavori senza per questo risultare “già sentito” o scontato. L’opener Syndefall macina riff senza tregua, con l’interpretazione stellare di Dolk che rappresenta la classica marcia in più. Il biondo cantante ha smesso di stupire ormai da tempo in quanto le sue vocals sono sempre state eccellenti, piuttosto quel che sorprende è la ancora più intensa capacità di essere un tutt’uno con la musica, una creatura notturna spaventosa e arcana che vaga nella foresta più fitta. Ophidian è una delle canzoni più belle del lotto, tra strofe sporche di terra e fango e l’inaspettato ritornello con voce pulita che spezza la furia dei Kampfar: pura classe cristallina. La voce di Agnete Kjølsrud, già in studio con Dimmu Borgir e Solefald, introduce la terza traccia Dominans, per struttura diversa dal classico stile della band norvegese, ricca com’è di parti ariose – pur sporcate da suoni quasi noise –, momenti di solo basso e riprese elettriche che non portano alle tipiche e attese sfuriate black metal. Velocità che torna parzialmente con Natt, canzone che non disdegna rallentamenti e mostra l’ottima chimica tra il basso di Jon Bakker e la batteria di Ask Ty. La bella Eremitt gioca sull’atmosfera, un mid-tempo accattivante con brevi istanti di pianoforte (che proseguono anche in sottofondo nella successiva accelerazione) e una potenza incredibile quando la band decide di suonare pesante e aggressivo. L’inizio old school di Skamløs mette subito in chiaro come suonerà la canzone: i “vecchi” Kampfar, quelli più diretti e grezzi, ma sempre incredibilmente efficaci, si riaffacciano nel 2019 per portare a scuola la maggior parte dei gruppi che si sono recentemente incamminati su questo percorso musicale. Ragazzi, i professori son qui per spiegarvi come si suona pagan black metal! Gli otto minuti e mezzo di Det Sorte, ultima e più lunga traccia del disco, sono introdotti da un bell’arpeggio di chitarra acustica, un cappello quasi elegante in forte contrasto con il tipico brano dei Kampfar, un massiccio crescendo che porta allo stacco di pianoforte (strumento che se utilizzato in particolari casi come questo diventa preziosissimo) a metà canzone prima di avviarsi verso un finale ispirato e concreto.
Influenzato dalle foreste e le montagne che circondano la base dei Kampfar, Hemsedal, così come dai colori che la natura cambia a seconda delle stagioni, Ofidians Manifest è l’ennesimo centro di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, una sicurezza in studio quanto in concerto, capace come pochi di riproporre la furia del disco sul palco. Otto dischi in venticinque anni e mai una volta a quota cinquanta minuti: i Kampfar hanno sempre preferito la sostanza e la qualità alla quantità.
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