Con gli anni e i dischi di qualità il nome Bloodshed Walhalla si è fatto largo nell’underground italiano, diventando un nome cult. Tutto merito della musica e dell’attitudine di Drakhen, mente e cuore del progetto lucano che professa amore incondizionato per i Bathory ma non ha timore di guardare avanti e portare novità nella propria musica. Del recente cd Glory To The Sacred Land e del mondo che ruota intorno ai Bloodshed Walhalla ne abbiamo parlato con il polistrumentista Drakhen, come sempre sincero e disponibile a raccontarsi.

Ciao Drakhen, iniziamo subito a parlare del nuovo album Glory To The Sacred Land. Dovendo descriverlo con un aggettivo, quale sceglieresti?
Ciao Mister Folk, innanzitutto ti ringrazio per avermi dato la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con te. Il primo aggettivo che mi viene in mente è “sorprendente”. Sorprendente perché questo disco doveva essere di tutt’altra fattura sotto tutti i punti di vista. Innanzitutto l’idea era quella di continuare e concludere la trilogia sul Ragnarok iniziata appunto nel 2018 con l’album Ragnarok e proseguita nel 2021 con Second Chapter. Ma man mano che i testi di Glory To The Sacred Land prendevano forma mi rendevo conto che stavo uscendo decisamente fuori tema ma appunto, sorprendentemente, ogni canzone non so per quale ragione, era in un certo senso collegata. È venuto quindi spontaneo variare qualcosina e creare una storia che identificasse l’intero album. Anche musicalmente mi sono reso conto che le song avevano un qualcosa di diverso dai precedenti lavori. Se analizziamo pezzo per pezzo ci rendiamo conto che ogni brano è diverso dall’altro. Mi dicono che la canzone che da il nome all’album sia un brano quasi power metal, Fly My Raven addirittura andante sul black, così come Il Lago e Non Sei Tu, dove ci sono anche alcuni passaggi folk, la cavalcata metal di 18 minuti di A Star For My Victory e la vichinga Rise And Fight, Glory And Victory. È sorprendente però constatare che chiunque ascolta i brani è sicuro che ad eseguirli sono i Bloodshed Walhalla. Credo che ormai il nostro sound sia ben definito e unico e qualsiasi cosa suoniamo alla fine è epico e soprattutto distinguibile, ma questo non lo dico io, lo dice chi ascolta il disco.
Sei passato da Hellbones Records a Earth And Sky Productions. Come è nata questa collaborazione?
Con Daniele della Hellbones Records abbiamo confezionato a mio avviso due grandi album, Ragnarok e Second Chapter. Ogni tanto ci sentiamo e so che dopotutto ho sempre il suo completo supporto. Purtroppo la sua etichetta si è indirizzata verso lidi che con il viking metal non c’entrano nulla ed è stato spontaneo cercare qualcosa di più appropriato per i Bloodshed Walhalla. Sono stato sempre in contatto con la Earth And Sky Productions e sapevo della stima che avevano per i Bloodshed Walhalla, mi è bastato mandare un messaggio a Marian, il patron, per concludere la collaborazione con la Hellbones Records e procedere con la nuova etichetta che, anche se ancora molto giovane, vanta nel suo roster realtà italiane ed estere veramente di spessore nel settore viking folk metal e poi effettivamente produce lavori molto professionali dando alla band il 100% del supporto.
Anni fa si parlava di trilogia con Ragnarok e Second Chapter: il nuovo Glory To The Sacred Land è quindi il terzo e conclusivo atto?
No, purtroppo no, come dicevo precedentemente c’erano tutte le intenzioni, ma non sono stato in grado di farlo, per ora. Glory To The Sacred Land è un concept album, una storia sempre a sfondo fantasy dove la mitologia norrena è sì parte fondamentale, ma non è il fine. Spero in futuro comunque di riprendere quel filone lasciato in sospeso con Second Chapter, la voglia c’è tutta, le forze non mi mancano, dobbiamo solo fare i conti con il tempo.
La copertina è molto evocativa: chi è l’artista che l’ha realizzata e come si è giunti al risultato finale?
Un po di tempo fa, cazzeggiando sul web, mi sono imbattuto su un sito dove c’erano tante immagini fantastiche a sfondo epico ed una in particolare mi colpì molto, si trattava di drakkar che probabilmente lasciavano la loro terra natìa per raggiungere chissà quali luoghi. Presi foglio e matita e riprodussi a mia interpretazione quel disegno. Il risultato finale è la copertina di Glory To The Sacred Land, successivamente supervisionata da un’artista bielorussa che coopera con la Earth And Sky Productions, Olga Kann, che poi ne ha tirato fuori il meglio e ha confezionato un booklet fantastico, come mai i Bloodshed Walhalla hanno presentato alla gente. Di questa copertina sono molto soddisfatto perché, oltre al fatto che è mia, ho avuto tantissimi complimenti dalla critica. A primo impatto piace, i colori, l’evocazione è perfetta e si sposa bene con il contesto dell’album. Magari a volte capita, ed è capitato anche ai Bloodshed Walhalla con Thor di fare dischi con copertine che non c’entrano nulla e vanno fuori tema. Siccome per Glory To The Sacred Land ho preteso il meglio che potessi fare e dare al pubblico, questa volta per la copertina sono sceso direttamente in campo senza chiedere ad altri e mi collego alla domanda iniziale, il risultato finale, anche per la copertina, è stato sorprendente.
Disco dopo disco il tuo sound è maturato, cambiato e diventato sempre più personale. I riferimenti ai grandi del genere viking si sentono ancora, ma mai come per questo Glory To The Sacred Land il sound è 100% Bloodshed Walhalla. Come sei giunto a questo risultato?
A dir la verità non lo so neanche io perché; devi sapere che la strumentazione che ho usato in questo nuovo album è la stessa che ho sempre usato in tutti i lavori per i Bloodshed Walhalla, naturalmente va da sé che in un processo di crescita di una band, e specialmente nel nostro caso, dove io praticamente mi cimento in tutti i processi, dall’idea al master finale, crescere sotto il punto di vista delle prestazioni e qualità di ascolto è fondamentale. Con gli anni penso di aver acquisito maggior padronanza di strumenti e software, mai come in questi anni necessari per essere minimamente al passo con le grandi produzioni, quindi cerco in continuazione la perfezione, per dare ai Bloodshed Walhalla una loro identità che forse per troppo tempo è stata accostata, sempre con tanto piacere però ad altre realtà. Credo sia giusto, siamo praticamente nati come i cloni dei defunti Bathory mentre oggi siamo i Bloodshed Walhalla. Chi ci ascolta deve sapere che tipo di prodotto proponiamo. Spero di essere sulla strada giusta, ma devo confessarti che è davvero un processo lungo e complicato, mai come in questo album sto sentendo pareri e critiche positive e negative delle più svariate. Alcuni dicono che suoniamo black, alcuni folk, alcuni power metal, alcuni addirittura hanno accostato qualche fraseggio alla musica del maestro Branduardi. Io credo che suoniamo viking metal, è che a volte mi piace allungare la vita di una canzone e va da sé che per poterlo fare devi variare per non essere noioso. Cambi di tempo e di stile mi piacciono, racconto storie e non banali canzonette. Ogni storia ha una sua identità e magari in una battaglia il ritmo si fa veloce e brutale mentre quando tutto termina il ritmo cambia ed è più lento e orecchiabile… non so se mi sono spiegato. Poi magari nel prossimo lavoro “mi gira” e registro ben altro ah ah ah! Io solo sono il padrone del destino dei Bloodshed Walhalla e ne faccio quello che voglio.
Parliamo dei testi: ci vuoi fare una panoramica con un occhio di riguardo per i due brani in italiano?
Sì, Glory To The Sacred Land è un concept album suddiviso in sei capitoli dove vengono raccontate le gesta e le vicende gloriose di un guerriero vichingo. Non ci è dato conoscere né il nome né il volto, perché è solo frutto della mia immaginazione, si racconta in maniera vaga della sua partenza per il campo di battaglia, della sua agonia e disperazione dopo la guerra in maniera più dettagliata, preghiere agli Dei che lo condurranno vincitore verso il suo ritorno a casa.
La prima canzone è Fly My Raven, veloce e malinconica, dove viene raccontata la storia del protagonista che lascia tutto ciò che ha di più caro, si identifica con la figura del Dio Odino chiedendo ai suoi corvi di vegliare e proteggere la sua donna, quindi il nostro guerriero lascia la sua terra ed è pronto per la battaglia. Glory To The Sacred Land è la seconda canzone che dà il titolo all’album e il singolo ufficiale uscito all’inizio di maggio di quest’anno. La canzone elogia gli Dei attraverso le preghiere del protagonista del concept destinato a morire in battaglia, e mentre combatte ferocemente vede la luce delle sacre terre del Valhalla. A Star For My Victory è il terzo brano, lunghezza ed epicità che sono le nostre caratteristiche fondamentali, dove viene raccontata la storia del guerriero morente che, dopo la feroce battaglia, perduto e sanguinante, si ritrova sulle sponde di un lago e prega gli Dei affinché lo accolgano glorioso nel Valhalla. Non Sei Tu è il quarto pezzo ed è cantato interamente in italiano. Il nostro guerriero in piena crisi mistica sente arrivare la morte e vede Odino nella nebbia, ma ombre nere si nascondono tra gli alberi in riva al lago e minacciano la sua gloriosa vittoria e redenzione verso il Valhalla. Nel quinto pezzo Il Lago, misto tra italiano e inglese, il nostro guerriero spinto da una forza ultraterrena si alza e cerca disperatamente di sfuggire alle ombre nere, con tutta la forza e la gloria del suo nome combatte le ombre oscure sulla riva del lago riuscendo ad avere la meglio, per poi ricordare nei suoi sogni, ogni notte per gli anni a venire, la sua personale vittoria. L’ultima traccia dell’album è Rise And Fight, Glory And Victory: dopo tutte le vicissitudini, il nostro guerriero si ritrova faccia a faccia con Odino che, dolcemente e fiero del suo coraggio, gli indica la strada per tornare a casa.
Per la prima volta ci sono delle canzoni in italiano. Ok, Nell’EP Mather i brani sono dei canti tradizionali di Matera, ma Non Sei Tu e Il Lago sono composizioni nuove con un testo inedito. Quando e come è nata l’idea di cantare in italiano e hai avuto difficoltà con rime e metriche?
Sorprendente, il primo aggettivo che mi hai chiesto. Si addice prepotentemente anche per le due canzoni in Italiano. O meglio una e mezzo, perché Il Lago ha mantenuto alcune strofe con lingua inglese. Tutto è nato così, sempre in caserma ah ah ah, in un momento di calma mi sono cimentato nello scrivere il testo di quella che doveva essere “The Lake” poi diventata appunto Il Lago. La canzone inizia in maniera decisa con una specie di motivo stile filastrocca, dove le parole vengono pronunciate velocemente. In inglese proprio non riuscivo a trovare la quadra. Il testo era completato ma non suonava bene. Per un italiano fare un testo in inglese con rime e per di più cantato in maniera veloce non è per niente semplice. Dopo un po di fallimenti pensai “e se la scrivo in italiano?”. In dieci min ho realizzato il testo de Il Lago, le parole mi venivano limpide e naturali, le rime altrettanto. Poi quando ho provato a cantare il coro centrale e mi è venuta la pelle d’oca, sintomo che la canzone suonava perfetta, mi sono deciso a confermare e dichiarare la canzone finita. Non Sei Tu, è stata la naturale conseguenza de Il Lago. Era l’ultimo brano da scrivere. Gasato dal risultato finale de Il Lago c’ho provato anche con Non Sei Tu, e in questo caso il risultato finale è stato ancora più sorprendente. Ascoltare il ritornello con il coro in italiano mi ha fatto letteralmente godere, testo approvato e album terminato.
Il 13 maggio hai messo a ferro e fuoco il palco del Mister Folk Festival 4: confermi che quella sarà l’unica data dal vivo per promuovere Glory To The Sacred Land o potrebbero essercene altre?
Sì, confermo che quella è stata e sarà l’unica data. Una serata fantastica che ricorderò per tutta la vita. Gli sguardi della gente, l’euforia e l’ambiente di quella sera non li dimenticherò mai. Io non ho una band, ho semplicemente qualche amico che mi vuole bene, che crede nel mio progetto e al bisogno se può mi aiuta. Tuttavia nel 2019 abbiamo provato a formare una band che portasse le canzoni dei Bloodshed Walhalla dal vivo e ci siamo riusciti in maniera decisa. Abbiamo esordito a Matera al Warmap Agglutination, poi a Roma, Napoli, Bari, Milano, Formia ecc., abbiamo condiviso il palco con band del calibro di Dark Funeral, Benediction, Furor Gallico, Antropofagus, Saor e tantissime altre realtà nostrane. Nel gennaio del 2020 avevamo firmato un contratto con una Agenzia Booking che avrebbe curato la nostra attività live, in pratica i Bloodshed Walhalla erano diventati una vera e propria band con cinque componenti. Poi qualche settimana dopo la pandemia ha fermato tutto il mondo e quindi anche i nostri sogni di gloria che si sono presto intorpiditi e mai più risvegliati. Dopo due anni, alla ripresa della vita che avevamo forzatamente interrotto, i ragazzi che mi avevano dato disponibilità si erano dileguati, per lo studio o per il lavoro, e siccome a mio avviso per un progetto che sia credibile e duraturo, qualsiasi progetto, ognuno deve dare il cento per cento alla causa, se questa percentuale viene meno anche minimamente, iniziano a sorgere problemi, si è deciso di abbandonare il tutto e ritornare a fare musica nella maniera migliore che i Bloodshed Walhalla sanno fare, ovvero in studio. Nel futuro però, se avremo proposte irrinunciabili, farò in modo di salire sul palco anche da solo per suonare contemporaneamente tutti gli strumenti ah ah ah.
Nei tuoi lavori non ci sono mai stati ospiti: una scelta precisa o in futuro le cose potrebbero cambiare?
Sinceramente non mi sono mai posto il problema. Nel futuro tutto può accadere e magari qualche collaborazione potrà sempre essere organizzata.
Potendo cambiare qualcosa dei tuoi vecchi lavori, cosa “ritoccheresti”?
Allora, premetto che i Bloodshed Walhalla sono nati per gioco, per una mia voglia di ascoltare musica che nessuno più era in grado di proporre nel panorama viking metal. Mi riferisco naturalmente al genio del maestro Quorthon. Dopo la sua morte non accettavo il fatto che non avrei potuto più ascoltare quel genere musicale che lui aveva inventato, il viking metal appunto. Decisi, ma sempre per gioco, anzi mi misi in testa che follemente avrei proseguito la saga dei due Nordland e così iniziai a scrivere brani che suonassero come quei due dischi. Composi sei brani studiando nei minimi particolari idee e immaginando i sentimenti che Quorthon avrebbe potuto provare nelle sue giornate di ispirazione. E nacque così Legend Of A Viking… canzoni che suonano veramente Bathory, di fattura eccezionale ma con registrazione troppo dilettantistica. Ecco, se c’è qualcosa che avrei corretto è proprio la registrazione. Avrei dovuto crederci di più. Ma davvero io non avrei mai immaginato che quell’album alla fine sarebbe diventato un vero è proprio full-length e che avrebbe venduto un sacco di copie. Lo stesso discorso vale per The Battle Will Never End e per Thor… la registrazione lascia davvero a desiderare e magari con un po’ più di impegno o convinzione il risultato finale sarebbe potuto essere molto differente. Alcune canzoni sono davvero belle a mio avviso, ma perdono tantissimo quando la produzione è scarsa. Thor ad esempio è un disco stratosferico che se fosse stato concepito da una band di alto calibro sarebbe sicuramente diventato un disco cult del genere. Ma è stato fatto interamente in casa con materiale scadente e ha una copertina, per colpe non mie, che fa davvero cagare. Per non parlare di Ragnarok… ragazzi, non per modestia ma stiamo parlando di un’ora abbondante di pura classe viking metal. Immaginate se fosse stato pensato e registrato da qualche band scandinava cosa sarebbe successo. Questo comunque non lo dico solo io, ma anche la moltitudine di gente che ha recensito i miei lavori. Io non so sinceramente cosa si deve fare per entrare nelle grazie delle grosse etichette, non lo so e non me ne frega niente perché vedo e ho visto tanto dilettantismo in quanto a idee ma con super produzioni, e sono sempre più convinto della mia teoria… dare tanto con veramente poco. La gente intelligente lo capisce ed i Bloodshed Walhalla si nutrono solamente di questo.
Diversi dischi alle spalle, concerti con nomi storici del metal estremo e un nome, Bloodshed Walhalla, che nell’undergorund è ormai una certezza. Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Grazie di cuore, devo ammettere che tutto quello che gira intorno ai Bloodshed Walhalla non me lo sarei mai immaginato lontanamente. Piano piano ci siamo ritagliati un piccolo spazio nella scena underground italiana ed estera, il nome circola prepotentemente, lo noto dalle vendite degli album, dagli ascolti in rete, ma soprattutto dai tanti messaggi che quotidianamente ci arrivano da gente che ci incita a continuare per la strada che dal 2010 abbiamo intrapreso. Lo ripeto e continuerò a farlo all’infinito, non sono un musicista virtuoso, non ho mai preso lezione di canto e di strumenti, non conosco nulla di suoni e compagnia bella, ma con i Bloodshed Walhalla ho tirato su un p’o di roba che in tantissimi hanno apprezzato. Ci ho messo anima e cuore e sempre lo farò perché sono straconvinto che con veramente poco si può dare veramente tanto se ci metti cuore e passione. E non è finita qui… anzi in questi giorni sono in studio per registrare le parti di batteria del prossimo lavoro, già pensato e approvato che pian piano vi svelerò. Un album che prosegue quanto fatto di buono finora dai Bloodshed Walhalla.
Ti ringrazio ancora per questa bellissima chiacchierata e sono sicuro che tutti voi continuerete a supportare il nostro lavoro come noi continueremo a stupirvi con la nostra musica. A presto.


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