Live Report: Glenn Hughes a Roma

GLENN HUGHES

21 maggio 2024, Orion Live Club, Ciampino (RM)

Se chiudete gli occhi sentirete i Deep Purple del ’74”.

Lo dice più volte Glenn Hughes alla folla adorante, e ha ragione: la sua band suona esattamente come i Deep Purple del California Jamming, solo senza Coverdale al microfono. Ok la somiglianza di sound, ma a stupire è la voce di Hughes, non a caso the voice of rock. Il frontman classe 1951 ha ancora oggi una voce straordinaria, capace di trapanare le orecchie con le sue classiche e immortali urla, ma anche di conquistare il cuore con un cantato più melodico e dolce. Sempre dannatamente funky, caratteristica che ha contraddistinto la sua lunga e gloriosa carriera.

Così questo signore inglese di oltre 70 anni, con un look vintage e figo al tempo stesso, incanta tutti noi che siamo lì per celebrare i 50 anni di uno dei dischi più belli della storia del rock, quel Burn che i Deep Purple pubblicarono nel 1974, tirando fuori un lavoro che al consueto hard rock della title track aggiungeva il blues, il funk e il blues. Otto canzoni che oggi suonano ancora attuali, affascinanti come la prima volta che le ascoltai nel 1995.

L’inizio è affidato a Stormbringer, killer song che dà il titolo all’album successivo di Burn (sempre del 1974: ma ci rendiamo conto che i Deep Purple hanno pubblicato due album straordinari nel giro di pochi mesi???), pezzo perfetto per aprire le danze, con quel riff di chitarra che schiaccia qualunque concorrente alle sei corde per quanto è tosto, diretto ed efficace. Seguono Might Just Take Your LifeSail Away e You Fool No One, un terzetto che basterebbe a giustificare il prezzo del biglietto (una volta tanto giusto, costando 30 euro), ma è con Mistreated che Dio scende in terra e prende le sembianze di un vecchio rocker britannico, ipnotizzando la platea con quella voce che sembra fatta su misura per quel blues rock che si può riassumere con una parola: perfezione.

C’è spazio anche per due brani dal sottovalutato Come Taste The Band, l’unico disco con Tommy Bolin alla chitarra, ovvero la rockeggiante Gettin Tighter (ma quel break funky/soul è da paura!) che dal vivo diventa pesante e massiccia, e la bellissima You Keep On Movin’, che chiude il concerto prima del prevedibile bis. Perché manca lei, quella Burn che ha fatto impazzire maree di chitarristi grazie al riff meraviglioso, e gli assoli di chitarra/organo che hanno fatto scuola nel rock. Quando Hughes e la sua band tornano sul palco partono i sei minuti più intensi della serata, con il pubblico che urla e Glenn che si diverte a tirar fuori degli acuti insensati in un tripudio di rock, sudore, stivaletti pitonati, amore e gioia.

Un’ora e quaranta minuti di show con abbondante spazio per gli assoli del mostruoso batterista Ash Sheehan e del chitarrista Soren Andersen, più un po’ di wah-wah per Hughes, il tutto molto retrò e bellissimo in un mondo musicale nel quale c’è sempre meno spazio per l’improvvisazione o i lunghi assoli. La cosa che ha stupito maggiormente è stata, però, l’eleganza e la gioia di Glenn Hughes nel vedere un pubblico così caloroso nei suoi confronti: in tutto lo show avrà lanciato venti plettri (baciati) alle prime file, battendosi il cuore a ogni occasione con ampi sorrisi e “Roma ti amo” tra una canzone e l’altra. È stato bello ascoltarlo mentre raccontava aneddoti riguardanti le canzoni, avendo poi dolci parole in ricordo di Jon Lord e Tommy Bolin, non risparmiando però frecciatine ai membri dei Deep Purple – chiaro riferimento a Gillan – che, tra le altre cose, non lo hanno voluto all’ammissione della band alla Rock And Roll Hall Of Fame.

Poche canzoni, è vero, avremmo voluto anche Holy Man e Soldier Of Fortune, ma non ci si può lamentare dopo 100 minuti di grande rock durante i quali un gentleman che ha fatto la storia della nostra musica preferita ha dato anima e corpo per tirar su un grande spettacolo. Vedere Glenn Hughes dal vivo, e da così vicino, è stato emozionante, intenso e in alcuni momenti sembrava di stare nella propria cameretta ad ascoltare Burn cercando di tirare giù a orecchio le parti di chitarra, sognando un giorno di far parte dei Deep Purple. Non è andata così, ma non ci può lamentare, proprio non ci si può lamentare.

Scaletta: 1. Stormbringer – 2. Might Just Take Your Life – 3. Sail Away – 4. You Fool No One – 5. Mistreated – 6. Getting Tighter – 7. You Keep On Movin’ – 8. Burn

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