Intervista: Ticinum

Nati nel 2022 i Ticinum non hanno di certo perso tempo, pubblicando l’anno successivo il bel debutto A’ La Porta Di Cént Tur, full-length di black metal con influenze folk cantato in dialetto pavese: troppo interessante per non cogliere l’occasione di intervistare la band e saperne di più.

Rispondono alle mie domande: T: Theeleb Corax – A: Agilulf – R: Rusruvent 

Ciao! Partiamo dall’idea che ha portato la nascita della band: come sono nati i Ticinum?

A: Le anime dannate di cinque loschi individui, conosciuti come Theeleb Corax il vagabondo veggente, Agilulf lo stregone pagano, Rusruvent il demonio esiliato, Rattenkoenig che nelle fogne trova il suo regno e Nictus Liutprand che ha ucciso più infermi di quelli che ha guarito, si uniscono attraverso la maledizione del Bargniff, un enigmatico rospo dagli occhi di bragia di dimensione spropositata che ne trae un’entità mai prima ammirata da occhio umano (se non da quelli dell’arabo pazzo Abdul Alhazred): Ticinum. L’incarnazione dell’abbandono e della gloria dell’antica capitale del regno longobardo, nei nostri cuori impero imperituro.

T: Ho sempre voluto cantar delle donne, i cavallier, l’arme e gli amori; le cortesie e l’audaci imprese. Sono riuscito a concretizzare l’impresa nel mio consueto vagar nella nebbia e incontrando alle rive dei fiumi altri individui a me simili, pronti a rinunciare ai loro occhi per favorire la visione del terzo su un mondo più grande che unisce passato e leggenda

Da dove viene il nome della band e quali sono gli obiettivi del gruppo?

A: Ticinum è il nome antico di Pavia, e trae il nome dal nostro sacro fiume. Il Ticino ci protegge e nutre da millenni. Miriamo ad insinuare il germe di un nuovo impero nelle menti degli ascoltatori ed osservatori, un impero in cui il lombardo è la lingua corrente e gli strazi dell’italiana repubblica sono ormai ricordo di un passato spiacevole.

T: il nome della band arriva dal nome latino di Pavia, nostra città di provenienza, vecchia capitale dell’impero e città delle cento torri. La nostra scelta é particolarmente sentita perché siamo molto legati al nostro territorio che, attualmente, vive un periodo di abbandono e decadenza a causa di disinteresse nella riqualificazione sia culturale ma anche più strettamente nel rapporto umano. Non perché non meriti attenzione o vi sia poco da vedere a più livelli, manca la volontà alla base delle iniziative. Il discorso si lega di conseguenza alle scelte di voler utilizzare il dialetto locale e di voler trattare le leggende e le storie che caratterizzano la nostra area che ha veramente tantissimo da poter raccontare. Facciamo questo tipo di ragionamento con la nostra esperienza personale ma a livello italiano vale praticamente per ogni regione ed ogni città, ognuna si caratterizza in modi diversi in base alla propria storia ma di carne al fuoco ce n’è in abbondanza. I nostri obiettivi sono semplicemente di fondere il black con la tradizione più medievale e folcloristica nella maniera che più rispecchi la nostra provenienza e noi stessi.

Nella recensione ho parlato della copertina dell’album, molto colorata e sicuramente diversa dalle classiche immagini del mondo black metal. Immagino che la vostra sia stata una scelta precisa…

A: Da creatore, posso dire che non solo vedere migliaia di copertine nere/grigie è estremamente noioso, ma non sarebbe rappresentativo del nostro mondo. Il mondo dell’antica capitale è sanguinario e spettrale, è vero, pregno di nebbie e paludi; ma è anche estremamente colorato e pieno di vita. Nella copertina non ho fatto altro che inserire una delle creature delle nostre leggende, il Bargniff, l’enorme rospo che affoga le sue vittime nel Po in caso di risposta errata a uno dei suoi indovinelli impossibili (e che si può sentire all’inizio del disco, dove il malcapitato viene affogato). Il mio stile artistico è colorato, e voglio/vogliamo dimostrare che il colore è la cosa più metal che esista (come i metallari dell’anno Mille sapevano benissimo :D). L’uniformità ci annoia.

Black metal con elementi medievali e folk, parole che magari possono trovare persone non concordi ma che possono rendere l’idea della vostra musica. Voi cosa ne pensate? Credete sia utile “etichettare” la musica?

A: Le etichette possono essere utili al pubblico per scoprire nuovi gruppi. Di folk nei nostri pezzi c’è l’atteggiamento e l’atmosfera (e da un po’ abbiamo inserito mandolino e richiami alle canzoni popolari delle nostre zone, di diverse epoche, ma per sentire queste nuove influenze bisognerà aspettare le prossime produzioni). Il medioevo è una passione storico/artistica più che altro, ne facciamo una reinterpretazione fantastica partendo dal carattere del pavese immaginario che alimenta la nostra creatività. Di black penso ci sia la voglia di creare qualcosa di ultraterreno ed impattante (e amiamo i gruppi black con cui abbiamo suonato fin’ora, tutte ottime persone).

T: etichettare la musica non é di per sé molto utile, soprattutto per chi la suona. Può essere utile per un ascoltatore sapere che cosa va a trovare all’interno di una registrazione e che cosa può offrire una band; sarebbe totalmente inutile se ci fosse abbastanza tempo e spazio d’ascolto ma se consideriamo il mare magnum di record e band odierne ci si può perdere facilmente e può essere un utile riferimento da quel punto di vista.

Quali sono, a vostro giudizio, le canzoni più rappresentative del disco, e perché?

A: Io direi Adalperga, la storia della figlia di Desiderio, che una volta diventata regina (nell’immaginario Ticinum) ha un figlio, Romualdo, purtroppo nato morto. La Regina folle dona il suo latte materno al Ticino illuminato dalla Luna e lo trasforma in un rivo lattiginoso da cui scaturisce un figlio demoniaco che la porta nell’Aldilà. Qui ci sono elementi folk, tragedia e fantastico. Ma sono tutte estremamente rappresentative, non ne escluderei nessuna.

T: Sono particolarmente legato a tutte le track presenti perché raccontano un pezzo di noi e della storia locale; la mia preferenza credo che vada a Bargniff ma solamente per la vicenda che racconta e che mi tocca da vicino; il gigantesco re dei rospi che affoga e mangia l’anima dei viandanti é storicamente stato un modo per giustificare tutti i vari annegamenti e suicidi che si sono verificati nel fiume Po e che accadono anche al giorno d’oggi. Ho più di un amico e un conoscente che hanno perso la vita in quelle acque ed é un modo per ricordare anche loro.

Dal titolo del disco ai testi delle canzoni, nulla è scontato con voi. Vi chiedo quindi di raccontare il significato delle liriche.

A: Qualcosa ho già accennato, ma lascio la parola a Theleeb che può dire di più e meglio.

T: Per raccontare le lyrics nella loro interezza mi servirebbe molto più spazio, mi limito a darti una vaga idea dei pezzi. Bargniff l’ho citata precedentemente, la canzone apre con l’induinel che richiama l’incontro con questa bestia mitologica nostrana. Mugg d’oss därnà riprende la tematica mitica del re sotto alla montagna con riferimenti alle nostre vicende più strette, dopo l’assedio di Pavia e la distruzione delle armate per mano dei Franchi la tematica va a riprendere la parte leggendaria delle fila di re Desiderio, soldati tumulati sotto le macerie che, come il loro re, dato che non possono godere del privilegio della morte, rimangono schiacciati anche dallo scorrerre del tempo decomponendosi lentamente e morendo per sempre nell’attesa di un ritorno del loro comandante. Al pont dal siur di fiamm invece tratta della costruzione del ponte coperto della capitale avvenuto durante la notte del 24 dicembre del 999 da parte del diavolo in persona. La vulgata paesana si intercambia a quella diabolica ed il demone viene raggirato dal suo stesso patto: l’anima della prima anima che vi camminasse sopra in cambio della costruzione istantanea; ma San Michele, patrono dei poveri e dei ladri, vi fece passar per primo un caprone lasciando il primo maligno a bocca asciutta, poiché il diavolo può essere malvagio ma un pavese ancor peggio. Per parlare di Strali di nera saetta muoviamo il pensiero dal centro della città pavese fino ai suoi territori limitrofi, precisamente a castelletto di Branduzzo. Qui ha sede l’antico castello Botta Adorno, un luogo di storia, omicidi e tradimenti tra cui quello del protagonista della canzone. Gli scritti che trattano per bene la questione purtroppo non sono molti, il castello é in totale abbandono e durante gli anni ha subito svariati furti. Se ci basiamo sulla tradizione orale e sulla poca documentazione rimanente andiamo a parlare della morte tramite avvelenamento e decapitazione del grande marchese Botta Adorno o, almeno, su una delle varie versioni della storia. Nonostante tutto si narra che fosse riuscito a tornare dalla morte anche se privo della testa cavalcando il vento e diffondendo il morbo della pestilenza tramite la sua spada fiammeggiante. Ancora oggi si crede che durante il mese di agosto il suo spirito faccia tre giri intorno al maniero brandendo la temuta la lama in sella al suo destriero fantasma.

Come nasce una vostra canzone? A una base musicale adattate il testo o da un testo trovate la musica che meglio ci si abbina?

A: Nasce da un’atmosfera. Abbiamo una lista enorme di leggende praticamente sconosciute da cui attingere e vediamo a quale musica si adatta meglio. Da lì si fa un processo di taglia e cuci ed adattamento dal vivo fino a quando si trova la forma più convincente.

R: Nasce prima una melodia solitamente ma in alcuni casi ci piace anche pensare ad un luogo oppure ad una delle leggende di cui parliamo per creare una melodia che possa richiamare l’argomento. Faccio l’esempio dell’intro di A la porta di Cent Tur in cui ho immaginato tutta una scena per ricreare ciò che si sente e nel dettaglio: campagne nebbiose e fredde, acqua di fossi che sfociano nel Po e nel Ticino, qualcuno che cammina e ad un tratto corre spaventato dalla mostruosità che vede e che poi verrà narrato nella canzone seguente, Bargniff. La fusione delle note e la sensazione sono nate assieme a quello che la fantasia e la ricostruzione, in quel momento, ha ispirato il pensiero.

T: Credo che Agilulf e Rusruvent abbiano esplicato il tutto alla perfezione.

In un anno siete nati e avete pubblicato il disco di debutto. Non avete temuto qualche volta di correre un po’ troppo?

A: In realtà no! Da un lato siamo molto prolifici, dall’altro abbiamo le idee molto chiare. Non vedevamo l’ora di farci sentire e portare il Verbo della Palude nel mondo.

T: Non abbiamo paura di correre troppo, anzi. Abbiamo tantissime cose da poter dire e scrivere e ogni membro é parte attiva nella composizione che viene vista e rivista al millimetro in ogni suo aspetto.

Nel primo lavoro avete parlato del periodo medievale; pensate che cambieranno le cose in futuro, magari trattando gli stessi temi ma in periodi storici diversi?

A: Come accennavo prima, il nostro “medioevo” è fantastico. È un ammasso sincretico delle nostre leggende di vari periodi, moderne, antichissime, intermedie. Non miriamo ad una ricostruzione storica fedele, né come sonorità né come concetto. Tutto entra nel calderone Ticinum e ne esce trasformato, a volte in maniera folle.

T: La nostra narrazione si mantiene fedele anche se si unisce la nostra visione interiore. Potremmo abbandonare il periodo medievale a favore di altro ma non credo che ciò possa mai accadere, sarebbe come rinunciare al trono dorato per dimorare su un corteo di giullari.

Come vedete la scena black metal e metal in generale in Italia? Siete in contatto con altri gruppi?

A: Da quello che abbiamo vissuto la scena metal e in particolare black metal, sembra in perfetta salute. Purtroppo non si può dire lo stesso dei posti in cui suonare: è una morìa costante e straziante. Ma le cose devono cambiare e c’è tanta voglia sotterranea di fare le cose per bene. Siamo entusiasti di tutti i gruppi che come noi decidono di scrivere i propri pezzi nelle loro lingue originarie, le lingue regionali che con tanta superficialità e dimenticanza vengono definite “dialetti”. Dialetti, forse, ma del latino. Esattamente come l’italiano. Forse un giorno il nostro governo deciderà che è il caso di preservarle invece di lasciarle a marcire in cantina.

T: Abbiamo condiviso il palco e siamo in contatto con diverse band del panorama italiano, tutte realtà che meriterebbero molto più spazio e gruppi validissimi che meriterebbero molto più lustro. La scena italiana non ha nulla da invidiare a quella estera, anzi, ha moltissimo da poter raccontare, credo che non debba mai essere data per scontata e merita il massimo rispetto e supporto.

Mi dite i gruppi che maggiormente vi hanno influenzato e a quali vi fa piacere essere accostati?

A: personalmente amo tutta la musica folk mondiale (o comunque un’ottima parte). Nel metal direi Finntroll, Manegarm, Bathory…

R: Personalmente ascolto un po’ di tutto e spazio molto tra i generi, le mie preferenze sono: Arkona, Folkstone, The Pogues, Heilung, Uncle Bard And The Dirty Bastard e Falkenbach per quanto riguarda per lo meno lo stile più folkloristico. Adoro nel particolare Slipknot e Tool andando a citare più sul generale, ma mi fermo per evitare un elenco lunghissimo e in continua crescita. 

T: Parlando di questo genere le mie band preferite sono indubbiamente i Vehemence, Aorlhac, Ungfell senza assolutamente dimenticare gli albori con le grandi opere dei Bathory ed i primi Satyricon, gli italiani Evol ed i Nerthus.Trascendendo il black metal ammetto di essere sempre stato molto legato ai Blind Guardian.

Avete chiuso il 2023 con un disco che ha ricevuto recensioni entusiastiche; cosa vi aspettate per il 2024?

A: Sicuramente uno split in uscita con Dusktone, con altre tre band che come noi usano la propria lingua per scrivere pezzi e che non vediamo l’ora di produrre e sentire. Abbiamo già anche diversi pezzi pronti per un nuovo album, a cui lavoriamo instancabilmente.

T: Non ci aspettiamo nulla se non l’idea di poter mantenere sempre affilato questo filo di spada cercando di renderlo sempre più tagliente.

Grazie per questa chiacchierata. Siamo al termine dell’intervista, potete chiudere come meglio credete.

A: Grazie a te per lo spazio e l’interesse! Le cose stanno cambiando e Ticinum è pronta, con la sua aquila bicipite, ad affrontare questa liberazione.

T: Botà, Durän!

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