Skálmöld – Sorgir

Skálmöld – Sorgir

2018 – full-length – Napalm Records

VOTO: 8 – recensore: Mr. Folk

Formazione: Björgvin Sigurðsson: voce, chitarra – Þráinn Árni Baldvinsson: chitarra – Baldur Ragnarsson: chitarra – Snæbjörn Ragnarsson: basso – Jón Geir Jóhannsson: batteria – Gunnar Ben: tastiera

Tracklist: 1. Ljósið – 2. Sverðið – 3. Brúnin – 4. Barnið – 5. Skotta – 6. Gangári – 7. Móri – 8. Mara

Il quinto disco degli Skálmöld dal titolo Sorgir arriva a due anni esatti dal precedente Vögguvísur Yggdrasils: la band islandese rilascia con svizzera precisione – ogni ventiquattro mesi circa – un nuovo lavoro, evidentemente il lasso di tempo necessario per comporre le nuove canzoni e inciderle prima di partire per il tour promozionale. La proposta musicale di Björgvin Sigurðsson e soci è quella ormai solita, ovvero viking metal nordico con meravigliosi intrecci vocali, ottimo lavoro delle tre chitarre e un’epicità che suona spesso oscura e minacciosa. Il folklore islandese fa da sempre parte del retaggio dei sei musicisti di Reykjavík, lo si può capire leggendo i testi e lasciandosi trasportare dalle note musicali dei vari dischi e in questo Sorgir non fa differenza. Ad essere rafforzato è in realtà l’alone dark che nelle varie canzoni viene fuori prepotentemente, fatto dovuto anche alle tematiche dei testi: il cd è diviso in due parti, la prima nominata “Sagnir” che va dalla prima alla quarta traccia, e la seconda “Svipir” dalla quinta all’ottava. In totale ci sono quattro storie di sventura e morte raccontate da due punti di vista differenti, con Svipir (fantasmi) che rappresenta musicalmente la parte più inquietante. Lo schema è semplice: la canzone 1 va con la 5, la 2 con la 6 e così via.

Il primo riff dell’album è di stampo heavy metal classico, seguito da melodie e tempi medi che crescono nel bridge senza però raggiungere punte di violenza o estremismo. Ljósið è un inizio di album in completo contrasto con quanto fatto nei dischi precedenti, basti pensare a un pezzo come Að Vori, opener bellicosa di Með Vættum. La seconda canzone, Sverðið, è oltremodo melodica e piacevole nell’incedere deciso ma tutto sommato delicato; verso i tre minuti, però, qualcosa cambia: le chitarre s’intrecciano ripetutamente sul tappeto offerto da Gunnar Ben e presto le sei corde si trovano a suonare apparentemente sconnesse tra di loro, ma in realtà lavorano gomito a gomito nel creare un’atmosfera magnifica che ricorda da vicino i migliori Tyr, quelli degli eccellenti lavori Eric The Red e Ragnarok. La terza traccia Brúnin suona lineare e “classica” nella struttura, mente ben più interessante risulta essere Barnið, brano che fa da specchio alla conclusiva Mara, non a caso i due pezzi più brillanti di Sorgir. In questa canzone si parla di incubi notturni, di creature che infastidiscono il sonno delle persone, un racconto di folklore non solo islandese ma qui chiaramente riportato nei modi isolani. Barnið è un mid-tempo robusto che lascia spazio alle armonizzazioni delle chitarre e che accelera in concomitanza dell’assolo. Con Skotta inizia la seconda parte del cd, quella chiamata Svipir: brano robusto e interessante sotto il punto di vista del guitar work, “classico” nelle linee vocali e nelle melodie malinconiche che da sempre contraddistinguono gli Skálmöld. La prima parte di Gangári è powereggiante ma le cose cambiano con il girare delle lancette e si viene travolti da una struttura imprevedibile e mai ripetitiva, tra break violenti quanto drammatici. L’arpeggio inquietante e scarno di Móri ci introduce a una canzone rock nell’anima che d’improvviso s’imbestialisce e miete vittime grazie all’ottimo lavoro della sezione ritmica e le urla disumane che escono dalle casse. Ma, così come è arrivata, la parte brutale bruscamente svanisce per far tornare la melodia e gli accordi crunchy, come il sole che torna a splendere dopo una terrificante tempesta. La chiusura di Sorgir è affidata all’ottima Mara, composizione da oltre otto minuti che mostra tutto il repertorio degli Skálmöld: riff heavy metal, un accenno di hammond come sottofondo e il break acustico sono solo una parte delle abilità dei musicisti, in quanto la lunga parte strumentale (assolutamente adorabile), con tanto di assoli e armonizzazioni, è l’ideale ponte verso la conclusione della canzone che altro non è il semplice ripetersi del ritornello in un crescendo epico.

La copertina di Kristjan Lyngmo (al lavoro con la band anche con il precedente album) ha un qualcosa di freddo e misterioso e ben si addice con la musica e i testi di Sorgir; stessa cosa si può dire della produzione, forse non potentissima per gli standard attuali (o moderni?), ma decisamente azzeccata per le otto canzoni di questo lavoro.

Sorgir prosegue quanto iniziato nel 2010 con Baldur, ovvero una rilettura personale del viking metal legato allo spirito e al folklore dell’Islanda. Nel corso degli anni gli Skálmöld hanno introdotto piccole novità durante la fase di scrittura, ma senza mai stravolgere il proprio sound: se un merito va riconosciuto ai sei musicisti è proprio quello di aver saputo crearsi un suono personale e distintivo. Sorgir è il classico album che renderà felice i fan di vecchia data ma che è anche un ottimo modo per farne avvicinare di nuovi. Promossi, come sempre.

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