Intervista: Stilema

Dopo un periodo di pausa, i laziali Stilema sono tornati in attività con una nuova voglia di fare e un sound fresco che unisce varie influenze sotto lo stendardo del folk metal. Tra poeti greci, deliziose melodie e interessanti anticipazioni, il cantante Gianni Izzo racconta con passione della sua creatura e del nuovo lavoro Ithaka, buona lettura!

ph. Elena Bugliazzini

Iniziamo presentando gli Stilema ai lettori di Mister Folk.

Ciao Fabrizio, gli Stilema sono nati parecchi anni fa come una folk band acustica, che univa la musica cantautorale italiana alla musica etnica, soprattutto di matrice irlandese, un qualcosa di molto vicino ai primi Modena City Ramblers per intenderci. Negli anni il sound è cambiato, abbiamo introdotto dapprima le chitarre elettriche, ora abbiamo decisamente virato verso un suono più metal. L’EP Ithaka è il nostro terzo lavoro in studio.

La band si è riformata nel 2015 dopo un periodo d’inattività. Cosa ti ha spinto a riformare il gruppo e a “cambiare” genere musicale?

Crediamo di avere qualcosa d’interessante da proporre, e ora abbiamo più possibilità ed esperienza per portare avanti il progetto in modo continuativo, quindi abbiamo deciso di riprovarci. Nonostante sia affascinato da strumenti quali flauto e violino e ami la musica folk, la realtà è che il 95% del tempo che passo ad ascoltare musica, è caratterizzato esclusivamente da heavy metal e rock. Per quanto all’inizio m’intrigasse l’idea di scrivere e interpretare i miei brani con un sound diverso, dopo un po’ ho avuto “nostalgia di casa”. Quindi era ovvio che l’unico modo per poter rimettere in piedi il progetto, era potermi esprimere in un contesto in cui mi sento più a mio agio, da qui il “cambio” di genere, senza ovviamente abbandonare le radici folk della band.

Nella recensione parlo di “folk metal adulto” e di venature progressive. Quali sono i gruppi che senti abbiano influenzato maggiormente gli Stilema?

Per quel che mi riguarda gli Iron Maiden e i Mägo De Oz sono le band per eccellenza che porto nel cuore, e penso che il mio modo di comporre sia stato influenzato dai loro rispettivi sound. Alcuni dei duetti delle chitarre, certe ritmiche e riff degli Irons mi avevano già suggerito quanto il metal potesse essere arricchito anche dalla tradizione folk, pensa al riff di Transylvania o all’andazzo di Quest For Fire, o ancora al sublime finale di The Prophecy. I Mägo De Oz hanno poi confermato questa mia idea, e insieme ai nostrani Rhapsody (e le loro varie incarnazioni) mi hanno insegnato che anche il metal può essere cantato nella propria lingua, e non necessariamente in inglese. Inoltre ti citerei i Jethro Tull e gli Orphaned Land… Probabilmente è grazie a loro, ma fuori dal metal anche grazie alla famosa collaborazione tra la PFM e De Andrè, che hai sentito quelle venature progressive nel nostro sound. Ognuno di noi ha ovviamente le proprie influenze stilistiche, ad esempio il nostro chitarrista Federico Mari è molto più vicino al metal estremo e al doom, credo che questo si sentirà maggiormente nel nostro prossimo lavoro, poiché anche lui ora sta dando il suo contributo come autore di alcuni brani che vi compariranno.

La title track è un omaggio al poeta greco Konstantinos Kavafis. Da dove nasce la passione per la poesia e perché Kavafis?

Le poesie sanno essere musicali anche senza strumenti, e la musica sa essere poetica anche senza parole. Se ci pensi, il loro è un matrimonio perfetto, non hanno necessariamente bisogno l’una dell’altra, perché sanno sorreggersi da sole, ma se si uniscono possono creare un forte legame chimico. Questo è ciò che cerchiamo di fare, la poesia è sempre stata parte integrante della nostra musica. Nel nostro primissimo lavoro, c’era uno strumentale ispirato a “L’addormentato Nella Valle” di Rimbaud. E nel prossimo disco ci sarà “Ninna Nanna Della Guerra” di Trilussa. È stata Alessia, la nostra flautista, a propormi “Ithaka” per scriverne un eventuale brano. Di questa mi ha intrigato il tema della vita come viaggio. Di Kavafis in generale mi piace la denuncia ad una società che non sentiva sua, e la ricerca introspettiva di una felicità che il poeta ritrovava nelle proprie radici pagane e nella cultura ellenica. Ma il nostro omaggio all’uomo o all’artista è solo secondario, se non fosse così, rimarrebbe un esperimento fine a se stesso. Quando prendiamo in prestito una poesia, lo facciamo principalmente per l’interesse verso il tema che questa porta avanti.

La canzone Girone Dei Vinti ha una tonalità quasi cantautorale. Mi domando quindi se apprezzi quel tipo di musica e cosa ne pensi di Branduardi, musicista menestrello per antonomasia.

Come ti dicevo, siamo nati proprio unendo musica cantautorale e folk. La prima è una dimensione che adesso abbiamo un po’ messo da parte, a favore di chitarre elettriche e doppio pedale, ma da ciò che mi dici, mi fa davvero piacere notare che riesce comunque ad emergere. Sebbene mi venga in mente sempre per primo De Andrè tra i cantautori a cui mi ispiro, considero Branduardi un ottimo musicista. Da Confessioni Di Un Malandrino, passando per Ballata In Fa Diesis Minore o Il Sultano Di Babilonia, ho apprezzato molti dei suoi lavori originali, o comunque le melodie che ha sapientemente reinterpretato. La cura e la ricchezza degli arrangiamenti nei brani di Branduardi poi è superlativa, e per questo rara, soprattutto se pensi al minimalismo che caratterizza certa musica italiana.

Ph. Elena Bugliazzini

Il violino e il flauto sono strumenti molto presenti nelle tre canzoni e le loro melodie sono spesso di primaria importanza. Come nascono i brani degli Stilema e cosa pensi che possano dare quei due strumenti alla musica heavy metal?

L’heavy metal è un genere in continua mutazione, sa rinnovarsi e si adatta perfettamente ad ogni tipo di contaminazione senza snaturarsi mai, o quasi… Insomma, ogni tanto escono fuori anche gruppi come le Babymetal, o i Sonic Syndicate, ma a parte questi refusi, si vola alti. Quindi anche strumenti che potrebbero sembrare lontani da questo genere, possono arricchirne invece il sound. Personalmente ho una predilezione per il timbro del violino e del flauto, ma in linea di massima penso che non esista strumento che non possa contribuire ad alimentare positivamente il nostro genere musicale. In linea generale ognuno compone brani o parti di un brano per conto proprio, poi li finiamo di arrangiare insieme in studio. In particolare, i miei pezzi nascono sempre da singole melodie che ho in testa, a cui cerco di dare un ruolo. Alcune di queste poi faranno parte della linea della voce, altre del violino, altre ancora del flauto. Intorno a queste melodie primarie, poi costruisco la base del brano e aggiungo il testo.

La copertina è di forte impatto e inizialmente sembra stonare con la musica proposta dal gruppo. In realtà, a un’analisi più attenta, si capisce che è la giusta immagine per il contenuto del cd. Vuoi spiegare ai lettori il significato dell’intera grafica?

L’artwork è stato disegnato dalla nostra amica Elena Bugliazzini, che ha egregiamente saputo dare forma alle nostre idee. Abbiamo deciso di rappresentare il tema principale di Ithaka, nello specifico, la fine di questo lungo viaggio, alle porte della città. Nella poesia di Kavafis, il viaggio verso Ithaka è la metafora della vita stessa, dove la città verso cui siamo inevitabilmente diretti, può rappresentare la stessa morte, la destinazione finale, che può far paura, e che nell’immaginario può essere letta come un posto buio, malinconico, ma che per nostra natura, ci rende inevitabile cominciare il nostro cammino. È proprio questo viaggio, che ci permetterà di trasformarla da un posto desolato, ad un posto simbolicamente ricco, lì dove la ricchezza è rappresentata da tutto ciò che abbiamo appreso nella vita. La Ithaka dell’artwork vuole essere il riflesso di questo arricchimento interiore del viaggiatore, che ha saputo vivere a pieno le proprie esperienze, accrescendosi attraverso queste. Il mare in tempesta rappresenta gli ostacoli che ognuno di noi incontra durante la propria esistenza, e che deve affrontare per evitare di affondare. Ci siamo divertiti poi a rappresentare la ricchezza interiore, attraverso tanti piccoli dettagli appartenenti all’arte, alla storia e alla mitologia classica. Oltre ai templi, ai due colossi, avrai notato anche gli strumenti musicali tipici, il famoso labirinto che si vede dalla finestra sul retro della copertina, e il piccolo mosaico del minotauro.

L’EP Ithaka è un’anticipazione di qualcosa di più corposo? State lavorando a nuove canzoni?

Sì, già mentre registravamo questi brani, eravamo in fase di scrittura del nuovo materiale. Abbiamo voluto rilasciare questo breve EP per vedere come sarebbe stata percepita la nostra proposta, dal momento che abbiamo, non solo cambiato il nostro sound, ma anche introdotto elementi nuovi negli arrangiamenti, come le tastiere, che non avevamo mai usato prima. Ti posso anticipare che il nuovo disco avrà uno spettro musicale più ampio, non solo attingeremo soluzioni da più tradizioni etniche, ma andremo a toccare anche parti del metal più estremo che abbiamo introdotto ultimamente qui e lì nel nostro sound.

Mi fa davvero piacere che nella scena romana-laziale ci sia una “nuova” e valida realtà! A te la parola per chiudere l’intervista.

Fabrizio, grazie mille per lo spazio che ci hai concesso, per le tue parole e la tua disponibilità. Un saluto a tutti i lettori di Mister Folk, che invitiamo, qualora fossero stati stuzzicati dalla nostra proposta, a seguirci sulla nostra pagina Facebook e su Soundcloud, dove potranno ascoltare in streaming il brano “Girone Dei Vinti”. Speriamo di vedervi ai nostri live. Raise Your Horns Metalfolkers \m/

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