Tengger Cavalry – Cian Bi

Tengger Cavalry – Cian Bi

2018 – full-length – Napalm Records

VOTO: 4,5 – Recensore: Mr. Folk

Formazione: Nature Ganganbaigal: voce, chitarra, morin khuur – Alex Abayev: basso – Zaki Ali: batteria – Phillip Newton: topshuur – Borjigin Chineeleg: topshuur, scacciapensieri, voce – Uljmuren: morin khuur

Tracklist: 1. And Darkness Continues – 2. Cian-Bi (Fight Your Darkness) – 3. Our Ancestors – 4. Strength – 5. Chasing My Horse – 6. Electric Shaman – 7. Ride Into Grave And Glory (War Horse III) – 8. Redefine – 9. A Drop Of The Blood, A Leap Of The Faith – 10. The Old War – 11. One Tribe, Beyond Any Nation – 12. Just Forgive – 13. One-Track Mind – 14. You And I, Under The Same Sky – 15. Sitting In Circle

Cosa succede a un musicista quando non ha più niente da dire? A volte decide di appendere la chitarra al chiodo, altre di prendersi un bel periodo di pausa per ricaricare le pile e poi, in caso, decidere cosa fare. Cosa succede, invece, se il musicista non ha più niente da dire ma gli capita tra le mani il contratto della vita? Per quanto dura e ingiusta, questa potrebbe essere la storia di Nature Ganganbaigal dei Tengger Cavalry e del contratto con l’austriaca Napalm Records, etichetta che negli ultimi anni si è affermata come una delle più grandi e importanti nel mondo heavy metal. Che poi Nature Ganganbaigal non è certo il tipo da pensare di non aver più nulla da dire, anzi, il tragicomico numero di release degli ultimi tre anni (sei full-length, tre EP, tre live album, due compilation e tredici singoli) fa pensare il contrario. Fatto sta che Cian Bi è il frutto per niente saporito che è nato dal sodalizio mongolo/austriaco, un album scialbo e noioso, banale e povero d’idee in grado di invogliare all’acquisto. Eppure i Tengger Cavalry, pochi anni fa, erano considerati innovativi e personali, rappresentavano il futuro del genere: il debutto Blood Sacrifice Shaman del 2010 è un piccolo capolavoro di folk metal e i successivi album ottimi dischi validi sotto tutti gli aspetti.

Cosa non va in questo Cian Bi? Si farebbe prima a dire cosa va bene, ovvero due-tre canzoni fatte a modo, stop. A partire dai brutti suoni digitali e troppo compressi al limite del metalcore, si prosegue con l’utilizzo del throat singing in inglese – sì, una band mongola che utilizza il tipico canto mongolo in lingua inglese… – e si finisce con l’ammasso senza capo né coda di ben quindici tracce. La colpa maggiore di Cian Bi è di essere composto da canzoni dalla durata media di tre minuti, basilari nella struttura e che non hanno la forza di una melodia che sia una per rimanere impresse nella mente. Tolte le poche meritevoli (Our Ancestors, One Tribe, Beyond Any Nation), rimangono le imbarazzanti Redefine (tra Fear Factory e nu metal del 1999), A Drop Of The Blood, A Leap Of The Faith (brutale nelle intenzioni) e You And I, Under The Same Sky, oltre alle inconcludenti Just Forgive e One Track Mind. Decisamente troppo poco per giustificare l’accordo con un colosso come Napalm Records. Inoltre le tracce di chitarra sono di uno scontato disarmante, ma nulla rispetto alla qualità della registrazione: tutto suona finto e plasticoso, a partire dalla sei corde che non graffia, fiacca nella distorsione e con suoni di rara bruttezza. Tra riff pseudo nu metal e suoni che neanche un gruppo al primo demo, Cian Bi è la pietra tombale sui Tengger Cavalry, progetto iniziato nei migliori dei modi e naufragato miseramente (forse?) sotto la troppa pressione esterna: poco dopo la pubblicazione di questo disco, infatti, la band ha annunciato lo scioglimento per ragioni contrattuali.

Quello che dispiace dei Tengger Cavalry, oltre alla triste fine intitolata Cian Bi, è che per brevi momenti riescono ancora a realizzare ottima musica e far viaggiare l’ascoltatore nelle sconfinate steppe della Mongolia cavalcando un destriero dai polmoni d’acciaio. Cian Bi è invece un disco sottotono e incerto sulla direzione da prendere: se si vuole ascoltare del vero folk metal mongolo, oltre ai primi passi di Nature Ganganbaigal, non c’è alternativa dall’avvicinarsi all’ottimo Arvan Ald Guulin Hunshoor dei Nine Treasures per poi scoprire anche i successivi dischi.

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