Kampfar – Mare

Kampfar – Mare

2011 – full length – Napalm Records

VOTO: 8,5 – recensore: Persephone

Formazione: Dolk: voce – Jon: basso – Ask: batteria

Tracklist: 1. Mare  2. Ildstemmer  3. Huldreland  4. Bergtatt  5. Trolldomspakt  6. Volvevers  7. Blitzwitch  8. Nattgang  9. Altergang  10. Bergtatt (In D Major) (bonus track)

Implacabile ed agguerrito il ritorno dei norvegesi Kampfar che con Mare, quinto full-length targato, alla pari dei precedenti due, Napalm Records, evidenziano ancora una volta la qualità elevata di una proposta pagan black che, formulata nel segno della più devota delle tradizioni, rimane pur sempre fedele a quell’intima essenza mediante la quale, sin dai primordi, la band ha forgiato l’inviolabile nucleo di un’indubitabilmente propizia miscela. Ebbene sì, i Kampfarnon ardiscono di tradire se stessi e, in quanto a ciò, anche il nuovo Mare non sembra fare eccezione. Nonostante, infatti, un’assenza che avrebbe potuto rivelarsi quanto meno perigliosa – stiamo parlando di Thomas, chitarrista e membro fondatore della band – le dinamiche di fondo dell’album non fanno che confermare le tendenze di uno stile già ampiamente fausto e consolidato. Dal mai obliato Kvass in poi (possa Odino maledirci se avessimo dimenticato le delizie dell’immensa Ravenheart o i furori della devastante Inferno), i nostri sono cresciuti notevolmente, dando prova di aver sviluppato con costante passione le già manifeste potenzialità di base. Mare è un disco maturo ed equilibrato, forse un tantino più aggressivo, oscuro e meno immediato rispetto ai precedenti, ma non per questo di minore pregnanza.

Ma sveliamo lo scarlatto manto della tracklist. L’omonima opener dell’opus, Mare, ci catapulta con piglio irruente ed impetuoso nell’universo lunare dei Kampfar… e sono grida rituali e gelidi ululati, il tutto al cospetto di un’onnipresente natura, la cui inquietante sovranità costituisce la principale componente di una rispettosa e pagana affezione. Tumultuosa e violenta la successiva Ildstemmer, furiosa danza di figure in circolo, corale inno al potere della fiamma. Di matrice maggiormente folk la ritmata Huldreland, mistico viaggio alle tetre radici di una terra fatata dai tenebrosi risvolti. E che dire dell’imponente Bergtatt che, nella limited digipak edition, appare in una duplice versione? Qui, le parti di tastiera, rendono intensamente atmosferico un racconto fatto di fuoco, roccia, Troll e iracondi spiriti della montagna, ma la suggestione delle incantate lyrics dei Kampfar, a metà strada tra inglese e lingua natìa, non si ferma certo qui. Esseri femminili, in bilico tra il magico ed il mostruoso, sono i protagonisti di Trolldomspakt, brano ricco di sfumature e ancora una volta dominato dall’arcana seduzione delle variegate tastiere. Inarrestabile e martellante è la sezione ritmica di Volvevers, pezzo urlato, per l’occasione, da un Ask fiero e risoluto. Gli stessi rapidi venti del Nord, invece, sembrano sferzare senza posa le infinite ed impietose armonie di Blitzwitch, la cui orgogliosa rabbia di fondo serpeggia come gelido ringhio, come sangue che scorre. Ed è la volta di Nattgang, incalzante e stregonesca ode alle creature della notte. Chiude il proclama una sontuosa Altergang, degno passaggio al di là della sfera del tangibile… “oltre il sangue e la vita e la morte”, così come il testo medesimo recita.

Molti, dunque, gli elementi melodici che, volutamente accostati alle grezze consuetudini di un black maggiormente primitivo, hanno il merito di plasmare una materia dalle molteplici venature. Un plauso speciale, poi, spetta senz’altro alle linee vocali elaborate da Dolk che, lungi dalla monotonia di uno screaming dai toni piatti e regolari, si cimenta piuttosto in rocambolesche sovrapposizioni di voci, dal profondo al brutale, dal gracchiante al distorto, dal sacrale all’esasperato.

Particolare degno di nota, infine, è la sapiente ed ineccepibile produzione curata presso gli Abyss Studio dall’ecletticoPeter Tägtgren, la cui esperienza in fatto di suoni non ha necessità di precisazioni di sorta. Una collaborazione più che indovinata, quindi, il cui risultato finale altro non può definirsi se non prodigiosa forma, potente e penetrante ad un tempo.

Non esiste, in conclusione, altra sentenza se non questa: il pagan black dei Kampfar si dimostra oggi forte di una consapevolezza, la cui esecuzione, tanto vivida quanto spontanea, non può non trascinare l’ascoltatore in un universo ricco di misteriose e rare fascinazioni. L’unico limite che, forse, si rinviene in una tal ben costruita creatura è l’assenza di un ancor più spavaldo osare, nella cui audacia speriamo di imbatterci al più presto per quanto concernerà i prossimi lavori.

Ma al bando ora le vuote ciance: che sia la musica a parlare! E verrebbe quasi da chiudere gli occhi e lasciarsi guidare dai corvi di Wotan… complice la notte, mai grido fu più battagliero: “Kampfar, Kampfar!”

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