Ereb Altor – Fire Meets Fire
2013 – full-length – Cyclone Empire
VOTO: 8,5 – Recensore: Mr. Folk
Formazione: Ragnar: voce, chitarra, basso – Mats: voce, chitarra, basso, tastiera – Tord: batteria
Tracklist: 1. Fire Meets Ice – 2. The Chosen Ones – 3. Nifelheim – 4. My Ravens – 5. Sacrifice – 6. Helheimsfard – 7. The Deceiver Shall Repent – 8. Post Ragnarok – 9. Our Legacy
Un anno esatto dopo Gastrike, disco che segnava musicalmente un netto cambiamento rispetto i primi due lavori della band, gli Ereb Altor tornano con il nuovo cd Fire Meets Ice edito dalla Cyclone Empire.
Ripassando la storia del combo svedese, è palese l’evoluzione del sound avvenuta con la precedente release rispetto a By Honour (2008) e The End (2010), discreti tributi al lavoro epico di Quorthon e dei suoi Bathory. Gastrike invece ha stupito e spiazzato gli ascoltatori fin dai primi minuti, essendo un lavoro crudo e cupo, molto influenzato dal black metal e con rari collegamenti al viking dei dischi precedenti. Fire Meets Ice mischia di nuovo le carte in tavola, continuando a pestare duro ma piazzando dei momenti di grande effetto con cori puliti, brani cadenzati e spunti nuovi e maggiormente orecchiabili rispetto a quanto proposto in passato. Non si tratta dell’ennesimo mutamento del trio di Gävle, ma di un’evoluzione naturale e graduale che li sta portando verso un sound personale fatto di tanti input diversi che, grazie all’esperienza e alla bravura dei musicisti, suona omogeneo pur nella diversità.
L’album inizia con il pianoforte introduttivo delle title track, canzone da oltre nove minuti dove sono presenti parti melodiche e atmosfere sognanti e dilatate sorrette dal roccioso lavoro della chitarra. Voci pulite e scream si alternano, i cori maschili donano alla composizione una grandiosa epicità, per quella che probabilmente è la canzone più bella mai composta dagli Ereb Altor. La prima cosa a stupire è il sound: pulito e grasso, a tratti pachidermico tanto è lo spessore dei suoni e delle soluzioni adottate dai musicisti, perfetto per la musica contenuta in Fire Meets Ice, dove i brani variano da melodie e mid tempo a momenti più dinamici e aggressivi. The Chosen Ones presenta delle bellissime parti vocali in pulito che si alternano alle urla della parte più violenta della canzone, un mix ben riuscito e assai efficace. Nifelheim ha il tipico marchio di Ragnar e Mats: ritmo medio e bellicoso come Quorthon ha insegnato, riff semplici e diretti, tanto cuore e qualche variazione sul tema che però non fa allontanare troppo i musicisti dalla strada maestra. Un arpeggio porta alla quarta My Ravens, canzone dotata di un gran tiro: voci e chitarre fanno un ottimo lavoro, con la tastiera a sottolineare i passaggi più oscuri e interessanti. Sacrifice è una canzone di transizione, composta da riff doom e una profonda voce scream, un insieme che può ricordare i My Dying Bride più maligni. Helheimsfard riprende da dove Gastrike aveva lasciato: tempi veloci, voce scream e sei corde taglienti, con un tocco di classe rappresentato dai riff doom ai quali, in verità, il power trio svedese ci ha abituato fin dall’esordio discografico. Ottime le parti strumentali di The Deceiver Shall Repent, traccia dal sapore epico e vagamente progressivo, leggera da ascoltare e che rimane stampata in testa dopo pochi ascolti. Come spesso accade, dopo un brano del genere segue il più estremo del cd, in questo caso Post Ragnarok, un black metal dalle tinte sinfoniche e dall’odore nauseante tanto è marcio e retrò il riffing. La conclusiva Our Legacy è la traccia più delicata e malinconica dell’intero platter, cinque minuti di pura classe dove il cantato dal sapore disperato e i vigorosi giri chitarristici creano un muro sonoro spesso, alto e liscio, una sorta di stanza/prigione dalla quale non è possibile fuggire e dove si è costretti a rimanere intrappolati nel dolore e nella sofferenza dei propri errori.
Alcune note aggiuntive: cover e produzione sono di ottima qualità. L’artwork (di Gustavo Sazes, autore di copertine per conto di Morbid Angel, Angra, Firewind, The Crown e altri) ben si addice al contenuto del disco, inquadrando immediatamente la musica degli Ereb Altor. La produzione è ottima, potente e sincera. Della registrazione e del missaggio se ne è occupato Jonas Lindström, nome reale del batterista Tord, mentre il mastering è stato curato da Tomas “Plec” Johansson (Watain, Scar Simmetry, ecc.).
Fire Meets Ice è un gran bel disco in grado di piacere agli amanti delle sonorità estreme ma anche a chi, dai gusti più epici e melodici, era rimasto deluso dalla svolta di Gastrike: in questo gli Ereb Altor mettono tutti d’accordo pur continuando a guardare avanti.
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